Corea del Nord, Usa all'Onu: «La nostra pazienza non è infinita, necessarie misure dolorose»

Corea del Nord, Usa all'Onu: «La nostra pazienza non è infinita, necessarie misure dolorose»
di Luca Marfé
Martedì 5 Settembre 2017, 08:25 - Ultimo agg. 10:06
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NEW YORK - «Kim Jong-un ci sta implorando di fare la guerra». Così l’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite Nikki Haley.

La scena è oramai quasi sempre la stessa: tra le mura del Palazzo di Vetro, infatti, alle riunioni straordinarie del Consiglio di Sicurezza sull’infuocato dossier nordcoreano ci si sta addirittura abituando.

Negli Stati Uniti si festeggia il Labor Day, la festa dei lavoratori, ma all’Onu si va avanti senza sosta. E senza risultati.

I 15 Grandi che siedono in Consiglio, e la comunità internazionale in generale, di sanzioni e misure ne hanno già adottate, ma tutto quanto fatto fino ad ora non ha impedito a Kim Jong-un di rilanciare e rilanciare ancora arrivando a perpetrare il suo sesto test nucleare. Anzi, paradossalmente, gli atteggiamenti ostili degli storici rivali di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud quasi rafforzano la narrativa attorno al dittatore che, in nome della necessità di difendere patria ed orgoglio, raccoglie consensi e motivi ulteriori per giustificare i suoi deliri.

Ma, per quanto Donald Trump non ami la “melina” tipica della diplomazia di casa Onu, la Haley, scelta accuratamente oltre che per le sue capacità anche e soprattutto per il suo carattere forte, proprio non ci sta. E continua costantemente ad alzare i toni:

«Quando è troppo, è troppo: nonostante le migliori intenzioni, il nostro approccio non ha funzionato». E ancora: «La guerra è qualcosa che non vorremmo mai, ed in particolare non la vogliamo in questo momento. Ma la pazienza del nostro Paese non è infinita. Difenderemo i nostri alleati e i nostri territori».

Ad ascoltarla bene, però, nonostante Pyongyang sia abbondantemente rappresentata alle Nazioni Unite (la Corea del Nord vanta un proprio ambasciatore accreditato assieme a 8 funzionari diplomatici), la Haley più che parlare indirettamente a Kim e ai suoi, sembra rivolgere il suo avvertimento ai membri del Consiglio ed in maniera ancora più ampia a tutti gli altri attori dello scacchiere internazionale. Quasi a voler offrire una sorta di preavviso in merito a possibili azioni unilaterali. Eventualità peraltro più volte ventilata da Trump che, proprio di recente, aveva ribadito che il «dialogo non è la risposta».

E così, mentre il presidente è furioso nei confronti della Cina e medita su possibili stop commerciali a danno del gigante asiatico qualora non si affretti a risolvere la grana nordcoreana, è sempre la Haley a tenere la parola e a restringere il quadro delle possibilità in un’ottica sempre più impopolare, ma necessaria. Un’ottica che potrebbe avere molto presto a che vedere con un intervento vero e proprio.

«Io credo che la Corea del Nord abbia di fatto preso a schiaffi la comunità internazionale che le chiedeva di smetterla».

E chiude: «Ci vogliono misure robuste che Pyongyang possa trovare davvero dolorose».

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