«Altro che Islam, l’obiettivo di Trump
è fare a pezzi l’Unione europea»

«Altro che Islam, l’obiettivo di Trump è fare a pezzi l’Unione europea»
di ​Francesco Romanetti
Mercoledì 1 Febbraio 2017, 09:18
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Noi diciamo «Occidente», diciamo «America». Parliamo di «libertà», «democrazia», «diritti». Adoperiamo queste nozioni pensando di essere certi di ciò che diciamo. Poi arriva uno come Trump e spariglia le carte. Che vuol dire Occidente? È una civiltà (espressione anch’essa problematica...) dove stanno insieme America ed Europa? E se l’Europa è in crisi, oggi non si profila anche un declino degli Stati Uniti? Ne parliamo con lo storico Luciano Canfora, filologo classico, autore prolifico di saggi anche sull’età contemporanea. Il suo ultimo lavoro è La schiavitù del capitale, pubblicato con Il Mulino, dove affronta proprio il tema dell’identità dell’Occidente.

Professor Canfora, nel suo libro lei cita una frase del 1930 dello scrittore ebreo polacco Isaac Kadmi Cohen: “La minaccia per la civiltà non viene dall’Oriente, ma dell’estremo Occidente”, cioè dall’America. È un paradosso? E oggi, Donald Trump, che cosa rappresenta?
«Trump, sebbene appena all’inizio del suo mandato, sta mostrando che da parte degli Stati Uniti giungono anche minacce. Anche all’Europa. Il suo obiettivo non è tanto ampliare il muro con il Messico o l’attacco ai musulmani: Trump vuole fare a pezzi l’Unione Europea. In questo, per la verità, è aiutato dalla politica miope perseguita finora dalla Ue, che ha messo in ginocchio paesi come il Portogallo e la Grecia e che più che un’Unione oggi appare come un agglomerato informe. Trump, che comunque ha fiuto politico, intende sferrare i suoi colpi su un’Europa debole, annunciando chiusure e politiche protezionistiche».

Contenere l’Europa, orientarla, magari asservirla, non è però una tentazione che nasce con Trump...
«Assolutamente no. Già nel dopoguerra il Piano Marshall venne varato con questo scopo: un piano di aiuti che non aveva alcun fine filantropico, ma che puntava a mettere i Paesi europei sotto tutela, attraverso un’occupazione spirituale e materiale. In Italia, l’effetto convergente del Piano Marshall e della crisi cecoslovacca del 1947, produsse il 18 aprile del ‘48. Ma varrebbe la pena ricordare che gli Stati Uniti avevano abbandonato il loro isolazionismo classico nel 1917, con la decisione di Wilson di entrare nella Prima Guerra Mondiale. È da allora che gli Usa mettono piede in Europa, per non toglierlo più, sostituendosi alla Gran Bretagna».

Dell’orientamento verso l’Europa fa parte anche il nuovo atteggiamento sulla Nato?
«Sulla Nato Trump è stato chiaro. E senza molta gentilezza ha detto: “mi costate troppo”. In realtà Trump non pensa che sia obsoleta solo la Nato, ma perfino l’Onu. Anche questa è una linea che viene da lontano: ripresa da Bush, fu chiarissima negli anni 60, quando nell’Onu si esprimevano istanze anti-colonialiste e anti-imperialiste. Durante la crisi del Congo, dopo l’uccisione di Lumumba da parte della Cia, venne ammazzato anche Dag Hammarskjöld, il segretario generale dell’Onu, morto in un incidente aereo molto simile a quello di Enrico Mattei...».

Lei mette in guardia dall’utilizzo di categorie come «Europa» o «Occidente», mostrando come siano mutevoli nel corso della storia. La presidenza Trump, secondo lei, è destinata ad accelerare ridefinizioni e identità?
«Non c’è dubbio. Basta ascoltare un telegiornale e rendersi conto che è già finita la fanfara sulla grande democrazia americana: Donald Trump mostra l’essenza di una farsa. Tra l’altro va ricordato che lui ha vinto solo grazie a un meccanismo elettorale, ma non ha avuto la maggioranza del voto popolare. Trump è un individuo detestabile, però in politica vale un insegnamento fondamentale: mai sottovalutare l’avversario. Nelle sue memorie, Molotov scrisse che bisognava smetterla di dire che Hitler era pazzo. Hitler, diceva Molotov, è un avversario pericoloso e capace».

Veniamo alla Russia. Il nuovo presidente americano guarda a Putin, con il quale condivide certi tratti. Ma quanto potrà essere reale e durare un rapporto privilegiato Usa-Russia?
«Durerà finché ci saranno interessi comuni. Un’alleanza conviene ora a Trump per togliere alla Russia le ridicole sanzioni, che penalizzano le esportazioni americane, volute da Hillary Clinton quando era segretario di Stato e servilmente applicate dagli europei. Ma i fattori in gioco sono molti. Il demolitore del modello dell’Urss fu Ieltsin e lui e il suo staff erano chiaramente ispirati dagli Usa. L’elemento nazionale è stato poi ritrovato con Putin, paradossalmente un ex agente del Kgb, che, tra l’altro, ha ripristinato il controllo statale sulle immense riserve di gas. A questo punto della storia umana siamo in presenza di una lotta tra potenze».

Professore, è corretto secondo lei parlare di «declino americano»?
«Tutti gli imperi crollano. È sempre avvenuto e sempre avverrà. A favore della potenza americana gioca da sempre un elemento geografico unico: è protetta da due oceani. Ma un declino può venire da fattori interni. Il protezionismo forse nel tempo breve potrà anche dare fiato all’industria. Poi si vedrà».
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