Terrorismo, Roberti: «In Italia sicurezza massima, oltre solo la militarizzazione»

Terrorismo, Roberti: «In Italia sicurezza massima, oltre solo la militarizzazione»
di Francesco Lo Dico
Domenica 20 Agosto 2017, 09:49 - Ultimo agg. 12:56
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«Il piano sicurezza, in Italia, contro le minacce terroristiche dell'Isis è già al livello massimo. Oltre c'è solo la militarizzazione». Lo spiega, al Mattino, Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. «Finora - dice - ci siamo salvati grazie ai nostri 007. Ma è tempo di una intelligence europea». Intanto, in rete, circolano nuove minacce dell'Isis contro il nostro Paese, giudicate generiche dai nostri 007. Controlli in strade e luoghi di aggregazione, come già ieri gli stadi di Torino e Verona.

I jihadisti minacciano l'Italia. Come reagire a una minaccia non inedita, ma assai angosciante alla luce dei fatti di Barcellona?
«Non era certo necessario un segnale esplicito - ragiona il procuratore nazionale Antimafia e antiterrorismo Franco Roberti - perché prendessimo consapevolezza che anche il nostro Paese è nel mirino jihadista. Lo sappiamo già da tempo. E tuttavia, qualora la veridicità del messaggio fosse confermata, terremo in buon conto l'avviso che ci è stato recapitato».

Il Viminale ha frattanto approntato nuove misure di sicurezza, dai new jersey al monitoraggio di tutti gli eventi pubblici. Che altro si può fare?
«Abbiamo già raggiunto la soglia di massima sicurezza possibile. Ulteriori inasprimenti del dispositivo di prevenzione equivarrebbero a una militarizzazione del territorio, che a oggi sarebbe tecnicamente impossibile e in ogni caso non offrirebbe garanzie assolute. Ciò che più importa è studiare l'evoluzione del fenomeno jihadista giorno per giorno, onde adeguare le strategie di contrasto alle nuove evenienze, nella cornice di un quadro più generale».

Il Viminale punta sul coordinamento tra sindaci, prefetture e forze di polizia. Il pasticcio di Torino non induce molto ottimismo.
«È evidente che a piazza San Carlo qualcosa non ha funzionato. Occorre replicare piuttosto un modello vincente, come quello che ha consentito a 250mila fan di Vasco Rossi di godere a Modena di una bella giornata di musica in totale sicurezza».

La Spagna è stata colpita per la prima volta dall'Isis, dopo gli attentati del 2004 ad Atocha che portavano la firma di Al Qaeda. L'Italia è meno sicura, dato che il nostro Paese ha un ruolo più importante di Madrid nel contrasto militare al Califfato?
«Sarebbe un errore leggere la strage della Rambla come un evento improvviso, distante dai fatti del 2004. Tra quell'attentato che fece 192 vittime, e quello di Barcellona, c'è un'assoluta continuità che vede legati a doppio filo i gruppi stanziali radicalizzati marocchini, allora affiliati ad Al Qaeda, a quelli marocchini che hanno colpito la Rambla pochi giorni fa. L'Isis non è nient'altro che una filiazione di Al Qaeda».

Tuttavia, sotto il regno di al Baghdadi i rapporti tra Isis ed Al Qaeda erano divenuti contrastanti. Oggi invece, il comando del Califfato passato nelle mani di al Tunisi e l'influenza crescente del figlio di Bin Laden, sembrano spostare il baricentro del terrorismo islamico dalla Siria al Maghreb. Sono circostanze che rendono l'Italia meno sicura di un tempo?
«È un'analisi condivisibile. L'asse del terrore si è spostato nel Maghreb e nel Sahel. Ma ripeto, occorre fare riferimento al quadro d'insieme. Lo stesso che, a mio modo di vedere, lega la strage di pochi giorni fa in Burkina Faso, agli eventi di Barcellona».

A oggi l'Italia non è mai stata colpita. Forse perché, come ha spiegato il generale Piacentini, già ai vertici del Sismi, la nostra opera di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, e i presunti rapporti con i trafficanti libici, ci hanno garantito qualche forma di salvacondotto per reciproca convenienza?
«C'è del vero nell'analisi del generale, ma bisogna fare attenzione. Qualunque tipo di equazione tra terrorismo e flussi migratori sarebbe fuorviante e pericolosa. Se finora siamo riusciti ad assicurare alti standard di sicurezza, è piuttosto perché l'Italia, a differenza di altri Paesi europei, può contare su un importante background di prevenzione messo a punto nel contrasto alla mafia, che oggi viene applicato nel contrasto al terrorismo secondo gli stessi principi del metodo Falcone: condivisione delle informazioni e delle investigazioni. Il Casa, il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, è un unicum in Europa perché convoglia e veicola le informazioni di intelligence in tempo reale, e le condivide all'istante con tutti gli altri attori europei. È quanto accaduto di recente nel caso di Driss Oukabir, fratello del presunto attentatore della Rambla. In pochi istanti, abbiamo verificato che era stato a Viterbo tre anni fa, e abbiamo condiviso l'informazione».

Insisto. Non è che l'Italia è rimasta immune da attentati anche perché viene vista come uno snodo irrinunciabile, specie oggi che l'influsso maghrebino sull'Isis sembra crescente?
«È una verità storica comprovata da processi celebrati in Italia: negli anni 2000 i gruppi salafiti algerini e marocchini consideravano l'Italia, e Napoli in particolare, come un centro operativo irrinunciabile dove era facile procurarsi armi, alloggi e documenti contraffatti, che doveva pertanto rimanere immune da attacchi».

È così anche oggi?
«Sappiamo che l'Isis lucra sul petrolio e sul traffico di esseri umani. Ma occorre ribadirlo: ciò non autorizza alcuna assimilazione tra migranti e terroristi».

Parlava di condivisione delle informazioni, modello che non sembra allettare troppo le altre intelligence europee. È questo il vero limite che sconta la lotta all'Isis?
«Lo ha ribadito anche il commissario europeo Avramopoulos. In assenza di uno schema di intelligence condiviso e integrato, la battaglia contro Daesh non potrà mai arrivare al cambio di passo decisivo».
 

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