Sicilia, ecco il mafia-tour con Provenzano junior

Sicilia, ecco il mafia-tour con Provenzano junior
di Lucio Galluzzo
Domenica 29 Marzo 2015, 17:24 - Ultimo agg. 20:19
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Per muovere turisti i tour operators si inventano di tutto. A Boston commercializzano un «pacchetto» per Palermo che non si limita al barocco ed all’arabo normanno, a Montepellegrino e Mondello, ai mosaici di Monreale ed alla Cappella Palatina, ai mercati popolari di Vucciria e Ballarò. Tutto questo è scontato, il «pacchetto» bostoniano ha un tocco di originalità e deborda sul filone del così detto «turismo controverso», includendo un incontro di un’ora con il dottor Angelo Provenzano, 39 anni, laurea in scienze della comunicazione, primogenito del boss Bernardo.



Gli affari sembrano andar bene, da settembre scorso quasi ogni settimana approdano a Palermo turisti americani, in genere sessantenni, di estrazione sociale variegata ma con una prevalenza culturale al di sopra della media, che dimostrano un grande interesse a vedere da vicino come è fatto il figlio di un bosso mafioso di primo piano.



Inutile girarci attorno, Palermo e Sicilia all’estero richiamano la mafia, soprattutto negli Usa dove i siciliani l’hanno esportata ed «il Padrino», libro e saga filmica incardinata nella Corleone di Provenzano e Riina, l’hanno consacrata all’apice della notorietà. E del resto il turista che dall’estero raggiunge Palermo al 90% sbarca da un aereo che si posa sulla pista del «Falcone e Borsellino». Primo contatto con la Sicilia, primo contatto con la tragedia di quest’isola. E nel tragitto dallo scalo alla città ecco apparire la stele di Capaci che perpetua il ricordo di una delle più mondialmente note stragi.



Cosa spinge il turista Usa a gettonare questo «turismo controverso»? C’è forse una punta di voyerismo. Poiché i veri boss o sono latitanti oppure al 41 bis (come "Binnu") se proprio l’argomento «tira» e «attizza» non resta che ripiegare sui figli. Ascoltare Angelo Provenzano, osservarlo, fotografarlo, rinvia ad una osservazione antropologica per interposta persona. Suona un po’ come andare alle zoo, dentro le gabbie ci sono tigri, leoni ed altre bestie feroci, ormai parenti lontane di quelle che battono deserti e savane. A volte è necessario accontentarsi. Ed i bostoniani si accontentano di fabbricarsi un brivido surrogato.



Provenzano preferirebbe non parlare di questa sua perfomance lavorativa, si perché viene ovviamente retribuito. L’incontro avviene in un emiciclo, con lui al centro, gli ascoltatori ricevono un testo che ripercorre su basi storiche sociologiche la piaga mafiosa. Il figlio del boss attacca poi a parlare, in inglese, racconta infanzia, adolescenza, vita di famiglia. La latitanza in Germania, l’attenzione del padre a non fare trasparire nulla dei suoi "affari riservati". Poi il ritorno in Sicilia, la scoperta che il padre è un boss mafioso latitante, la vita con la madre Saveria Palazzolo a Terrasini, la gestione di una lavanderia, infine la cattura di Bernardo, il suo decadimento fisico in carcere, sino alla riduzione ad un puro stato vegetativo che - hanno sancito i giudici - non consente di processarlo per incapacità di intendere e volere, ma che non gli frutta nemmeno l’ uscita dal regime di carcere duro.



Insieme con il fratello Francesco Paolo, 30 anni, laurea in lettere, Angelo ha sempre vissuto «a lato» del padre. Infatti, a differenza di due dei figli di Riina, i due Provenzano sono incensurati, non dicono che il padre è un innocente perseguitato, ma nelle rare interviste rilasciate hanno proposto alcuni distinguo ed additato «chi ritiene che le colpe dei padri debbano ricadere sui figli».



Quando Angelo smette di parlare, fioccano le domande dei «controversi» turisti e lui a tutti risponde. Gli chiedono cosa sia la mafia: «Un magma fluido che non ha contorni definiti», dice. Falcone e Borsellino? «Due vittime sacrificali, giudici immolati sull'altare della ragion di Stato». Bernardo Provenzano? «Era e resta nostro padre, basta questo per essere noi figli considerati cittadini di serie B».



«Per me – ha spiegato ieri all’Ansa – questi incontri sono una opportunità lavorativa importante in un settore, quello turistico, nelle cui potenzialità ho sempre creduto. Vorrei una vita più normale possibile – ha aggiunto -, ma mi rendo conto che non c'è speranza. Nel lavoro che svolgo vengo aiutato dalla constatazione di confrontarmi con una cultura diversa dalla nostra e scevra da pregiudizi. Allora vivo anche un'avventura molto stimolante».
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