Roma e Napoli, le due facce (diverse) del declino

di ​Vittorio Del Tufo
Martedì 19 Settembre 2017, 09:05
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Sono orrori diversi, quelli di Napoli e Roma, ferite a morte nello stesso giorno. Due orrori diversi legati però da un filo sottile. È il piano inclinato che spinge la prima e la terza città d’Italia verso la condanna di un tempo immobile. A Napoli un ragazzo di 21 anni, nipote di un boss pentito, massacrato in un risveglio di faida che fa tornare le lancette della storia indietro di anni, gli anni senza fine di Gomorra. A Roma uno stupro in pieno centro, a Villa Borghese, nel cuore malato di una metropoli che sembra aver perso l’anima. Orrori diversi, insomma, che ci raccontano il declino di due grandi città, che tra violenza e degrado trascinano la stessa zavorra. Da un lato il vocabolario feroce della camorra, l’eterna coazione a ripetere delle famiglie criminali che ripetono all’infinito lo stesso copione. La violenza delle bande criminali appare ormai come uno stigma incancellabile: non l’elemento costitutivo della struttura e dell’identità di un popolo, di una città, di un territorio, ma un virus endemico che continua a infettarlo. Un parassita che ha preso possesso di un corpo sano, devastandolo.

Dall’altro l’orrore di Roma, che irrompe nel salotto verde della capitale: una donna tedesca aggredita, picchiata, stuprata e legata a un albero. Uno stupro è uno stupro ovunque, può accadere (accade) in tutte le città italiane e del mondo, il raccapriccio è lo stesso a tutte le latitudini. Ma l’agghiacciante violenza di Villa Borghese accende un faro non solo sul degrado degli spazi pubblici ma più in generale sul declino di una Capitale che lo scrittore Giorgio Montefoschi, su queste colonne, considera ormai condannata all’inconsistenza, e senza più identità. La Terrazza del Pincio, la Galleria Borghese, l’élite pubblica circondata da eccellenze, un parco che era il vanto di una città trasformata in un territorio senza controlli, senza manutenzione, tra fontane imbrattate e laghetti ridotti a stagni. Ma se Roma si sbriciola sotto i colpi di un degrado ormai inarrestabile, se a Napoli una generazione di giovani criminali è cresciuta nel mito, e nel brodo di coltura, dei padri e dei nonni camorristi, replicandone le gesta e (spesso) la morte violenta, è lo stesso futuro delle due città che appare incerto, avvolto in una nube di incompiutezza. Le grandi metropoli non sono solo comunità di uomini e donne che vivono, camminano, lavorano insieme: sono un paesaggio dell’anima, e sono anche lo spazio dove si gioca la democrazia del futuro. È quell’anima, più che la loro grande bellezza, ad essere macchiata dalla doppia ferita di ieri. Napoli e Roma, città eternamente incompiute, irrisolte, sono anche una grande questione nazionale, anche se appaiono, in queste ore, drammaticamente ripiegate su se stesse e sui propri orrori.
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