Perché la fuga di notizie
è solo il dito, non la luna

di Alessandro Barbano
Mercoledì 17 Maggio 2017, 23:13 - Ultimo agg. 18 Maggio, 08:11
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A che titolo una procura indaga, senza averne la competenza, riguardo a fatti e ipotesi di reato su cui opera un’altra procura? E a che titolo intercetta, senza indagarle, persone indagate da un’altra procura, per un reato per cui non è consentito disporre intercettazioni? Perché questo è accaduto nell’inchiesta Consip. Il controllo di legalità, funzione suprema della democrazia affidata alla magistratura, a Napoli si è svolto mettendo a rischio la stessa legalità. Questo in troppi, a ogni livello istituzionale, hanno finto di non vedere. Come se il fatto non li riguardasse. Come se tutto fosse opera esclusiva di un maldestro o piuttosto infedele capitano dei carabinieri del Noe. Ma anche adesso che il caso è esploso in tutta la sua gravità, si continua a guardare al dito, ignorando la luna. Dove il dito è la fuga di notizie che ha portato il colloquio privato tra l’ex premier Matteo Renzi e il padre Tiziano sulla prima pagina del “Fatto quotidiano”. Ma diamine, perché stupirsi: da quindici anni a questa parte le intercettazioni disposte da alcuni pm finiscono tutte sui giornali, prima di essere valutate come prove o piuttosto come fango. 

Ma c’è anche la luna. La luna è chiedersi come è stata motivata la richiesta del pm napoletano al gip di intercettare Tiziano Renzi, due mesi dopo che l’indagine era stata trasferita a Roma. Chi l’ha autorizzata e perché. Perché Napoli, che indaga ormai solo sugli appalti del Cardarelli, dovrebbe tenere sotto controllo il padre dell’ex presidente del Consiglio. Che non è indagato a Napoli, ma è indagato a Roma senza essere intercettato. E che rapporto ha quest’intercettazione con la famigerata relazione del capitano Scafarto, che fa falsamente dire all’imprenditore Alfredo Romeo di avere incontrato Tiziano Renzi. L’una è servita all’altra? Un falso è presupposto di un abuso, di un illecito, o di cos’altro? Se si fosse precostituita una prova falsa per giustificare e poi diffondere un’intercettazione altrimenti immotivata, ci troveremmo o no di fronte a un reato?
Di questo non si parla e non ci risulta che allo stato s’indaghi. Cosicché la fuga di notizie pare la cosa più grave di cui dolersi. E da cui magari difendersi, tornando a ventilare una stretta sulla diffusione delle intercettazioni, punendo i giornalisti che le pubblicano. 

Ma nessuno è disposto a mettere in discussione il potere della magistratura di intercettare persone non indagate, con motivazioni anche solo apparenti e di fatto insindacabili. Nessuno sembra comprendere che la casa di vetro, più volte richiamata quando si tratta di difendere tanta pervasività penale, somiglia sempre più a una casa degli orrori.
Di certo non l’ha compreso il guardasigilli, dormiente fino a quando è stato tirato giù dal letto dalla gravità di ciò che emergeva, e solo l’altro ieri indotto a chiedere accertamenti che da almeno un mese erano indifferibili. Non c’è da stupirsi. Orlando ha fatto già approvare dal Senato (con il voto di fiducia!) un disegno di legge che legittima l’uso del virus informatico da parte del pm, salvo successiva convalida del gip, per intercettare a telefono spento. 
E che dire del Csm? Per settimane abbiamo ascoltato autorevoli membri togati chiamarsi fuori di fronte a quello che veniva raccontato come un piccolo infortunio di polizia giudiziaria, assicurando piena concordia tra le procure di Roma e Napoli. Stamane il vicepresidente Legnini ha convocato un comitato di presidenza. Speriamo che arrivi, sia pure tardiva, una presa di coscienza di quanto grave sia lo sconfinamento che si è prodotto. Speriamo che la massima istituzione giudiziaria smentisca una sensazione che si fa strada ormai da giorni: aver delegato interamente a una magistratura, quella di Roma, il compito di risolvere un cortocircuito politico-giudiziario che si trascina da vent’anni nel Paese.

Ma ci sia consentito di dubitarne. La politica tutta appare rannicchiata in difensiva, di fronte ai colpi di una sparatoria alla cieca. Non sembra aver compreso il legame tra il populismo montante e un discorso pubblico scritto dalle intercettazioni. Le sfugge che la drammatica confusione tra diritto ed etica, che ormai attraversa la coscienza civile anche delle classi dirigenti e dei media, coincide con il più massiccio uso delle tecnologie investigative nella narrazione giudiziaria e giornalistica del Paese. 
Così il reperto di una conversazione privatissima tra un figlio e padre, ancorché potenti, suggerisce sui giornali suggestive diagnosi sulla metamorfosi generazionale di un potere familista. In nome di un principio unanimemente condiviso, per cui è utile diffondere intercettazioni penalmente irrilevanti se illuminano il lato oscuro della politica, una parte piccola ma aggressiva della magistratura sconfina, piegando le regole e il diritto alle ragioni di una missione: rigenerare il potere politico a tutti i costi, anche a costo di ignorare di essere diventata, di tutti i poteri, il più arbitrario.
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