Pensioni, slitta l'aumento dell'età a 67 anni: posticipato di almeno sei mesi

Pensioni, slitta l'aumento dell'età a 67 anni: posticipato di almeno sei mesi
di Andrea Bassi
Giovedì 2 Novembre 2017, 09:40 - Ultimo agg. 20:04
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Sul blocco dell'aumento dell'età di pensionamento a 67 anni dal 2019, il governo è pronto ad un compromesso con i sindacati. La formula finale ancora non è del tutto chiara, ma è probabile che il premier Paolo Gentiloni la illustri a grandi linee nell'incontro che avrà oggi pomeriggio con i sindacati sul tema della previdenza e della legge di bilancio. Il problema non è di semplice soluzione. Decidere di stoppare l'aumento dell'età costerebbe, secondo alcune stime, 1,2 miliardi di euro. Sul tavolo, però, c'è una soluzione a costo zero, già formalizzata in un emendamento del Pd al decreto fiscale. Per adeguare l'età di pensionamento all'aumento di cinque mesi della speranza di vita certificata dall'Istat, serve un decreto direttoriale che, dice la legge, dovrà essere emanato entro fine anno. L'idea è quella di far slittare di sei mesi, a giugno del prossimo anno, l'emanazione di questo provvedimento.

Siccome il decreto direttoriale è un atto dovuto, formalmente il suo slittamento non comporterebbe automaticamente il congelamento dello scatto a 67 anni dell'età di pensionamento dal 2019 che, invece, resterebbe in vigore. Non ci sarebbe dunque il bisogno di coprire con risorse pubbliche il mancato adeguamento dell'età, mentre si passerebbe al prossimo governo la patata bollente. Ai sindacati, che però sono in pressing su Palazzo Chigi per sospendere lo scatto dell'età, questa soluzione difficilmente potrebbe andar bene. Adesso le condizioni per decidere un congelamento dei 67 anni sono più forti. Innanzitutto c'è la legge di Stabilità in discussione e, dunque, c'è l'unico strumento idoneo per trovare eventualmente le risorse necessarie a finanziare la decisione. In secondo luogo ci sono condizioni politiche ideali.

 

Con la campagna elettorale alle porte nessun partito vuol scontentare i pensionandi.
Dunque il governo tiene sul tavolo anche un «piano B» e persino un «piano C». Il piano B prevede l'estensione dell'Ape sociale, il meccanismo che permette a undici categorie di lavori considerati «faticosi», dai conciatori agli edili, fino alle maestre d'asilo, di andare in pensione a 63 anni con un prestito pensionistico a carico dello Stato. Si tratta di una misura sperimentale in vigore solo per il 2017 e il 2018. Potrebbe essere allungata a tutto il 2019, magari ritoccando anche i requisiti contributivi per accedere, come già fatto in manovra per le donne con figli. Poi si vedrà. Il piano C, invece, prevede di applicare a queste stesse categorie di lavori «faticosi», le stesse regole che valgono per i lavori usuranti. Per i lavori usuranti già è in vigore, fino al 2026, una sospensione dell'adeguamento dell'età di pensionamento alle aspettative di vita.

La stessa misura potrebbe essere estesa anche ai lavori gravosi. Anche le posizioni sindacali sono sono proprio tutte collimanti. Per la Cgil non basta un rinvio, serve «una svolta vera». Spostare la discussione al 2018 e quindi dopo le elezioni non risolve il problema, anzi potrebbe essere controproducente. Per la Cisl una moratoria di sei mesi, bloccando lo scatto, potrebbe invece servire per rivedere il meccanismo e individuare con attenzione le categorie, sulla base del confronto con i sindacati e degli impegni assunti nel verbale di accordo sulla previdenza dell'anno scorso.

La Uil insiste sulla necessità di congelare l'aumento dell'età pensionabile, ma ricorda che bisogna anche intervenire sulle future pensioni dei giovani.

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