NOZZE CON UN NIPOTE
Il giudice sottolinea come Maljika - la cui denuncia ha fatto scattare l’inchiesta - e la sua bambina, entrambe assistite dal legale Patrizio Nicolò, non erano «in grado di comprendere o parlare anche solo minimamente la lingua italiana per chiedere aiuto, dopo otto mesi di permanenza in Italia». Elemento che «conferma lo stato di isolamento in cui venivano tenute» la donna e la piccola. Sad Uddin ha provato a difendersi sostenendo che la moglie si è inventata tutto, che nel suo Paese, per legge, le ragazze non possono sposarsi prima dei diciotto anni di età. Ma il tribunale non ha sottovalutato la denuncia di Maljika: «Voleva rimandare me e nostra figlia Shaila in Bangladesh – ha messo a verbale lei – per farla sposare con un suo nipote che ne ha ventidue». Per sventare il piano, la donna ha reagito con una mossa disperata ma efficace: ha strappato i due passaporti, salvando Shaila. «Pur a fronte di una legge che fissa per le ragazze l’età matrimoniale ai diciotto anni, è peraltro dato notorio emergente dalle cronache che in quel paese vi sia un tasso di matrimoni infantili altissimo, osserva il giudice Zamagni.
BOTTE E CORANO
Per il tribunale non c’è dubbio che il bengalese costringesse moglie e figlia a una convivenza fatta di violenze fisiche e psicologiche. E’ stata Shaila, nel corso di un’audizione protetta, a sfogarsi e a raccontare tutto: «Mamma e papà non andavano d’accordo e papà picchiava la mamma con le mani anche con schiaffi. Una volta ho sbagliato a leggere il Corano e papà mi ha picchiato con la mano aperta sulla testa». E poi, sottolinea il giudice, la bambina «non poteva giocare in casa né vedere la tivù, non aveva nessun gioco e non sapeva perché». Sad Uddin «picchiava lei e la mamma perché la madre cucinava senza il suo permesso, ma altre volte lo faceva senza nessun motivo». Shaila ricorda quando il padre, dopo che la mamma aveva cucinato del tonno senza autorizzazione, le si avvicinò «e aveva preso un coltello vicino al lavandino». Minacciandola apertamente, come ha riferito Maljika nella denuncia: «Perché non ascolti quello che dico io? Oggi taglio le tue mani». Lui ha negato, ma quel giorno la moglie si ritrovò con una ferita alla mano e il tribunale ha creduto alle sue parole.
FUGA IN ITALIA
Ponendo fine a una storia di violenza e vessazioni cominciata una decina di anni fa in Bangladesh, dove Maljika viveva con i genitori, due fratelli e una sorella: svolgeva i lavori domestici, andava ad attingere l’acqua dal pozzo e recuperava materiali di fortuna per accendere il fuoco.
Poi sono arrivate le nozze combinate con quell’uomo che non conosceva, scelto per lei dai genitori. Maljika resta incinta e lui dopo due mesi di matrimonio la lascia per venire a lavorare in Italia. «Torno a casa nel giro di un anno», le promette. Invece torna dopo nove anni, solo per prendere la moglie e la figlia che non aveva mai visto e portarle a Milano. La donna spiega che lei e Shaila hanno vissuto dalla fine del 2016 in un isolamento imposto dal marito, senza che la bambina potesse far altro che leggere e imparare il Corano. Non le permetteva di andare a scuola, né di uscire, fino alla decisione di rimandare Shaila in Bangladesh «adoperandosi a costringere in matrimonio la figlia con un suo nipote», secondo l’accusa confermata dal verdetto del giudice. Ma la ribellione di Maljika ha salvato la sposa bambina.