La fuga dei giovani
​uno schiaffo al Sud

di Adolfo Scotto di Luzio
Sabato 9 Dicembre 2017, 08:30
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Chi di noi ha preso la decisione qualche anno fa di trasferirsi a Milano, da Napoli o da una qualunque altra città del Sud, vive una esperienza significativa, che molte cose dice della nuova Italia emersa dalla grande trasformazione di quest’ultimo quarto di secolo. Siamo letteralmente immersi in un universo sonoro che risuona di voci e di accenti famigliari. È un fenomeno che riguarda in special modo gli ambienti professionali, ad alta qualificazione culturale. Medici, studenti universitari e, naturalmente, insegnanti sono alcuni dei protagonisti della nuova presenza meridionale nelle città dell’Italia del Centro-Nord.

Si tratta, come dicevo, di un aspetto di quel più grande rimescolamento demografico che ha così potentemente segnato di sé l’esperienza collettiva degli italiani a partire dagli anni Novanta. Gli immigrati stranieri ne rappresentano il volto più immediatamente riconoscibile. E continuano ad occupare gran parte del discorso pubblico, come dimostra il dibattito, tanto acceso quanto inconcludente, sullo ius soli. Ma la nuova demografia italiana solo in parte può essere ricondotta alle questioni del colore della pelle e della religione che sempre, in questi casi, catturano, e comprensibilmente, l’attenzione dell’opinione pubblica. Se il numero degli stranieri, nel nostro Paese, è stato moltiplicato per dieci e più a partire dal 1990, bisogna anche aggiungere che il loro peso relativo negli anni più recenti ha visto attenuarsi la sua importanza. L’immagine della nuova Italia emersa da questa trasformazione, notano Michele Colucci e Stefano Gallo nel Rapporto 2017 sulle migrazioni interne, è quella di un paesaggio demografico in via di assestamento. Il processo è durato quasi vent’anni, intensificandosi tra la metà degli anni Novanta e il 2007. Tre milioni e trecentomila nuove iscrizioni anagrafiche danno la misura delle scosse profonde che hanno investito il Paese e, nel quadro dei rivolgimenti politici innescati contemporaneamente dalle inchieste giudiziarie del 1992-1993, permettono di valutare la portata effettiva del rivolgimento delle basi materiali e morali della vita in comune che abbiamo conosciuto tra la fine del Novecento e il nuovo secolo. Se fossero altri tempi, si sarebbe detta una rivoluzione passiva. 

A partire dagli anni Novanta, l’Italia ha conosciuto una rivoluzione di questo tipo, per mezzo della quale è entrata a far parte di un sistema di rapporti internazionali violentemente riconfigurato a livello globale dalla nuova economia.
Ora il nostro Paese ha un nuovo volto e problemi largamente inediti da affrontare. Ma come dicevo all’inizio, l’immigrazione straniera rischia di occultare una dimensione altrettanto significativa della nuova questione demografica. Ci sono tratti della storia italiana che permangono pur assumendo aspetti differenti. Dal Sud al Nord, gli spostamenti della popolazione sono ripresi con grande intensità in questi ultimi vent’anni e di questa rinnovata mobilità interna, il lavoro rappresenta un aspetto senz’altro rilevante. Ma non è l’unica dimensione significativa. Dal Sud al Nord, gli italiani si muovono innanzitutto alla ricerca dell’efficienza.

La nuova migrazione interna mette così in gioco dimensioni complesse che riguardano l’organizzazione e la qualità dei servizi, la sanità, innanzitutto, il sistema formativo e di istruzione, l’aspirazione a veder riconosciuto il proprio talento. I giovani che dal Sud si trasferiscono a Milano si muovono in direzione di una città che non solo li riceve e dà loro un’occasione professionale. Vanno alla ricerca di un ambiente nuovo, che sia ancora in grado di accogliere i progetti degli individui, sostenerli e, in qualche caso, realizzarli. Non basta infatti riconoscere la nuova composizione dell’emigrazione meridionale al Nord, il suo elevato livello di qualificazione culturale, se non si coglie questo tratto morale che la contraddistingue. 

Da questo punto di vista, la nuova emigrazione meridionale torna ad essere, proprio com’era dei contadini che abbandonavano il Mezzogiorno rurale più di cento anni fa, un pronunciamento contro la società dalla quale si separano. È letteralmente un voto contro il Sud. Contro la corruzione e l’inettitudine delle sue classi dirigenti, contro le strutture clientelari che reggono i rapporti nella sfera professionale, contro il privilegio di chi ricava la propria posizione nella vita, essenzialmente, da una rendita familiare. A ben vedere, l’emigrazione dal Sud è il pronunciamento dei giovani contro l’acquiescenza dei vecchi, il loro tratto rinunciatario e accomodante, la loro rassegnazione, da parte di chi coltiva ancora l’idea di un’altra possibilità di vita.

In questo senso, costringendo alla partenza i suoi giovani la società meridionale perde due volte. Si impoverisce di intelligenze, a favore di un Nord che, tra l’altro, non ha pagato i costi della loro formazione; e si spoglia di energie morali decisive; di quella spinta al cambiamento che solo una generazione nuova, educata, e con una forte determinazione a farsi un posto nella vita è in grado di imprimere alla società.

Nella nuova Italia emersa dalla impetuosa trasformazione di fine secolo, lo ius soli non è dunque l’unico problema all’ordine del giorno della nostra rinnovata questione demografica. Accanto al tema, pure tanto rilevante, dei nuovi italiani affiora, in cerca di un’adeguata interpretazione storico-culturale, l’antico problema dell’inquietudine meridionale, dell’individuo “incontentabile”, come De Sanctis scriveva di sé: della coscienza infelice di chi ad un tratto scopre di non poter realizzare le proprie aspirazioni. Saper collocare questa coscienza nel quadro dei problemi aperti che stanno di fronte alla nuova Italia e alle sue sfide è la grande questione di una nuova politica nazionale. Perché anche un’altra cosa deve essere ricordata in proposito. Se le migrazioni interne hanno ripreso così intense il loro corso è anche conseguenza del fatto che il Sud, in questi vent’anni di vita pubblica italiana, è letteralmente scomparso alla coscienza del Paese.

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