La diversità morale
e il vizietto

di Massimo Adinolfi
Martedì 13 Febbraio 2018, 08:33
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A quanto pare, non si tratta di dimenticanze, di distrazioni, di semplici ritardi. Non sono disguidi burocratici, calcoli da fare, documenti da allegare: nulla di tutto questo. Si tratta invece di un banale trucco, di un imbroglio, di una vera e propria truffa. Certo, bisogna attendere che quanto sta emergendo in queste ore venga confermato, ma, fatti tutti gli accertamenti del caso, bisognerà chiamare le cose col loro nome. Certi onorevoli a Cinque Stelle avevano il vizietto: con la mano destra versavano, con la mano sinistra revocavano. La mano destra firmava il bonifico e pubblicava la certificazione dell’avvenuto versamento; la mano sinistra, nel giro di 24 ore, lesta annullava la disposizione bancaria e tratteneva il denaro sul conto.
Di Maio si è fatto sentire, naturalmente: a differenza degli altri partiti, ha detto, loro le mele marce le espellono (quando però le ricandidi te le ritrovi in Parlamento comunque, e, espulsi o no, sei tu che ce li hai portati). Né possono essere pochi, limitati episodi, ha continuato imperterrito, a inficiare il valore di un’iniziativa. Che solo il Movimento ha adottato, versando indietro decine di milioni di euro di rimborsi elettorali: questa, ha protestato, è la vera notizia, non l’ammanco di diverse centinaia di migliaia di euro – forse mezzo milione, forse più – che risulterebbe dall’inchiesta giornalistica. 
In realtà, dopo dieci anni di ininterrotta predicazione di immacolata onestà, purezza ed innocenza, il Capo politico del Movimento Cinque Stelle scopre che la bandiera della diversità morale reca qualche indecorosa macchia, e che a sporcarla non sono oscuri consiglieri di qualche piccolo comune di periferia, ma i portavoce che siedono in Parlamento. A Roma e forse anche a Strasburgo.
Alla scoperta dovrebbe ora seguire la lezione che Di Maio si rifiuta per il momento di trarre. La devoluzione dei rimborsi elettorali ha assunto, fin dal primo giorno della Legislatura, un valore altamente simbolico. I Cinque Stelle si sono caratterizzati per le posizioni assunte in tema di costi della politica, lotta alla corruzione, rifiuto del finanziamento pubblico. I soldi che lo Stato dà a noi, dicevano i grillini, noi li mettiamo a disposizione di un fondo per le piccole imprese. E non si limitavano a dirlo, ma davano alla cosa un valore dimostrativo, ne facevano un esempio: «Ecco, vedete, si fa così: noi siamo quelli che invece di prenderli, i soldi li restituiscono». Loro, insomma, con la Casta non c’entrano. Ancora domenica, nel corso dell’incontro pubblico a Vietri sul Mare, vicino Salerno, Di Maio ha dedicato tre quarti del suo intervento a questi temi: ai vizi irreformabili della classe politica, e alle virtù incancellabili del Movimento Cinque Stelle. In giro per il Paese, i candidati pentastellati chiedono il voto perché loro non rubano, prima ancora di chiederlo perché loro governeranno meglio. O piuttosto: loro governeranno meglio proprio perché non rubano.
La rimborsopoli grillina compromette la validità di questo assunto. Non c’è nessuna diversità morale, antropologica o di altro tipo che metta al riparo la futura deputazione grillina da comportamenti politicamente sconvenienti. Di più: restituire parte (solo parte) dei soldi ricevuti dallo Stato non dimostra proprio nulla, si riveli o no una presa in giro.
Con ciò, però, non si vuol dire che mal comune mezzo gaudio: così fan tutti, teniamoci i piccoli e i grandi truffatori, che mettono radici nelle pieghe della vita pubblica. Quel che si vuol dire è che un’idea di Paese, una prospettiva di governo, una visione politica con i suoi quadri ideologici e culturali non possono essere sostituite da un controllo di moralità più o meno ferreo. Non si costruisce una classe dirigente nuova e capace dietro presentazione di scontrini e ricevute di versamento. E non si dovrebbe fondare su una palingenetica promessa di rigenerazione morale un’alternativa politica reale, concreta, che tocchi le questioni vere: dalla collocazione internazionale al rapporto con l’Unione europea, dalle politiche industriali al superamento degli squilibri territoriali; dalle scelte sulla questione migratoria all’innovazione nella pubblica amministrazione. 
Cosa sarà l’Italia nel prossimo futuro dipende dalle decisioni fondamentali che verranno prese su queste materie, non da altro. Va bene allora cacciare nell’ignominia le mele marce, ma è di quelle che rimangono nel cestino che si vorrebbe dimostrazione di autorevolezza e credibilità politica, molto più che la semplice trasparenza degli estratti conto. Le piccole furbate indignano e danno una misura degli uomini, ma se non si esce dal circuito miserrimo dell’indignazione e del discredito, una classe politica all’altezza dei compiti non si formerà mai.
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