Islam, via libera al registro degli imam: c'è l'obbligo di parlare italiano

Islam, via libera al registro degli imam: c'è l'obbligo di parlare italiano
di Valeria Arnaldi
Giovedì 18 Agosto 2016, 08:58 - Ultimo agg. 10:12
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Un albo in cui siano regolarmente iscritti tutti gli imam che predicano in Italia, come mezzo per garantire legalità e sicurezza. Anche ai musulmani. E soprattutto, un modello italiano ed europeo di imam, nel rispetto di comuni e condivisi standard di formazione.

LA PREVENZIONE
È nel riconoscimento dei ministri di culto islamico in un registro ufficiale lo strumento rilanciato, dal ministro dell'Interno Angelino Alfano, nelle ultime ore, come arma contro il terrorismo, in una sorta di percorso di prevenzione alla radicalizzazione. Nessuna provocazione - è la posizione del ministro, che esclude il divieto del burkini sul modello francese - ma linee chiare e condivise, pure nella denuncia di moschee occulte, in dialogo con le comunità musulmane sul territorio.

La proposta dell'albo, tristemente rianimata dall'aumento di attentati in Europa in questi mesi, non è una novità assoluta. Di un registro di imam, nel nostro Paese, si parlava già dieci anni fa. Ora, però, a rinnovare e rafforzare il progetto - e la sua fattibilità - accendendo il dibattito, è il consenso delle comunità musulmane e arabe in Italia. L'Ucoii-Unione delle Comunità Islamiche si dice pronta da anni a fare corsi di aggiornamento perché gli imam apprendano lingua, cultura e leggi italiane. In questa visione, i ministri di culto saranno nominati dalla comunità islamica e, poi, approvati dal ministero. Per l'Unione, la mancata partecipazione ai corsi di aggiornamento non potrà essere «discriminante». A sostenere fortemente l'idea della formazione italiana ed europea degli imam è la Comunità del Mondo Arabo in Italia. «Gli imam fai-da-te non sono accettabili - afferma Foad Aodi, presidente Co-mai e movimento Uniti per Unire - Non ci si deve poter autoproclamare imam. Nelle altre religioni non sarebbe ammissibile. Chiediamo un albo con requisiti certi: buona conoscenza della lingua italiana, residenza in Italia da almeno tre anni e laurea o un certificato che possa attestare l'esperienza da imam. I ministri di culto devono calarsi nella cultura del Paese che li ospita. La formazione europea degli imam può essere un muro contro il terrorismo».
 
IL CASO BENGALESE
Dall'albo di imam al censimento delle moschee. «Un no pure alle moschee fai-da-te - prosegue -. Non è tollerabile che un imam possa aprire una moschea nel garage, danneggia l'immagine del vero islam. Vogliamo un censimento e poche moschee ma ben organizzate, dove gli italiani possano entrare normalmente. Bisogna far aprire le comunità musulmane, attualmente alcune sono rigidamente chiuse, difficili da controllare, penso in particolare a quella bengalese. Ciò non deve accadere. La trasparenza è fondamentale per l'integrazione».

Ed è anche nell'ottica dell'apertura, come simbolo e perfino prova, che Co-Mai e Uniti per Unire hanno scritto al Pontefice, dopo la partecipazione di 23mila musulmani alla preghiera in chiesa, per lanciare una giornata con cristiani nelle moschee. «Si terrà a settembre - annuncia Aodi - abbiamo già ricevuto trentacinquemila adesioni di cristiani, tra poche ore invieremo l'appello ufficiale. Sarà importante vedere quali moschee risponderanno favorevolmente alla proposta di apertura e quali no. Non è epoca per mandare segnali ambigui. E, lo dico alla politica, non è neppure più il momento di ascoltare solo le comunità religiose. È importante dare voce a tutti, praticanti e non, laici e religiosi, visto che il 75 per cento dei musulmani italiani è laico e non praticante». Dalla Comunità la richiesta di limpidezza nelle moschee stesse.

I CASI SOSPETTI
«È necessario che ci sia chiarezza sui finanziamenti e sulla vita democratica dei consigli di amministrazione». Sì pure alla denuncia immediata di situazione a rischio e casi di sospetta radicalizzazione. No a divieti come quello francese del burkini: «Si può sconsigliare non proibire, l'integrazione non si fa con i divieti». A fine luglio era stato il primo ministro francese Manuel Valls a sollevare la necessità di un «patto con l'Islam». Ora i musulmani guardano all'Europa per un sistema condiviso di regole. E a fare da modello potrebbe essere proprio l'Italia.

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