Incubo terrorismo e sicurezza
italiani ancora poco preparati

Incubo terrorismo e sicurezza italiani ancora poco preparati
di Valentino Di Giacomo
Venerdì 24 Marzo 2017, 08:23 - Ultimo agg. 08:39
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Fino ad oggi l'Italia è l'unico grande Paese europeo a non aver subito attentati di matrice jihadista. Un risultato che è frutto di un'attività di prevenzione posta in essere da intelligence e forze dell'ordine che fino ad ora ha funzionato. Eppure come ha ammesso anche ieri il ministro dell'Interno, Marco Minniti la guardia continua ad essere alta perché il pericolo che i lupi solitari possano agire anche sul territorio italiano appare quasi un'ipotesi scontata. Roma, il fulcro del cristianesimo, resta uno dei primari obiettivi dei jihadisti e non è sicuramente un caso se sulla rivista del Califfato, «Daqib», sia comparsa la foto della bandiera nera del Daesh che sventola su San Pietro. Un pericolo che si eleva alla massima potenza in occasioni come la manifestazione di domani nella Capitale quando sarà celebrato l'anniversario dei Trattati di Roma e le forze dell'ordine saranno chiamate ad affrontare uno stress-test senza precedenti tra i pericoli connessi all'ordine pubblico e alle possibili infiltrazioni di black-bloc, fino alle minacce terroristiche e ai possibili attentati in nome del jihad come quello avvenuto mercoledì scorso a Londra. Ma la sola prevenzione non basta. E se invece lo Stato Islamico riuscisse a colpire in Italia saremmo in grado di rispondere adeguatamente in tempi rapidi?

La risposta, purtroppo, deve fermarsi a metà strada. Se le forze dell'ordine sono adeguatamente preparate ad intervenire in caso di attacco, non lo sarebbero altrettanto i semplici cittadini che molto probabilmente piomberebbero nel panico in assenza di adeguati strumenti conoscitivi. E la causa è da ricercare nelle troppe lacune che si registrano sul fronte della cosiddetta «sicurezza partecipata» rispetto ad altre nazioni. Sin dagli attentati alla metropolitana di Londra del 2005, ad esempio, gli inglesi hanno lavorato moltissimo per educare i propri cittadini. Chi lavora in uno dei bar, ristoranti e negozi di stazioni e aeroporti londinesi deve prima svolgere un corso di anti-terrorismo. Ai lavoratori vengono mostrati video di attacchi terroristici in modo da ricevere un'adeguata preparazione sui gesti da compiere in caso di emergenza e le simulazioni sono frequenti per testare se i corsi abbiano avuto successo. I dipendenti sono poi obbligati a registrare la propria presenza all'interno delle stazioni e degli aeroporti dove prestano servizio e hanno il dovere di controllare a cadenza regolare (almeno una volta ogni ora) se nel proprio locale sono state lasciate borse incustodite. I dipendenti che non osservano queste basilari norme di sicurezza sono regolarmente multati. Nella capitale londinese sono spariti dal centro anche i contenitori della spazzatura perché potrebbero essere utilizzati per depositare ordigni esplosivi e per gli stessi motivi è fatto obbligo per i cittadini della City di utilizzare esclusivamente sacchetti trasparenti. Un modello di sicurezza partecipata che non può certamente essere sufficientemente efficace per sventare possibili attentati, ma che di sicuro funziona per evitare che al caos scaturito da un eventuale attacco possa conseguire anche quello, non meno pericoloso, di una folla in preda al panico.

In Italia invece poco si è fatto su questo fronte. Se in molti Stati esteri già colpiti da attentati esiste una consapevolezza generalizzata dei rischi e su come fronteggiarli, nel nostro Paese non si ha ancora una piena cognizione su come agire. Soltanto in alcuni aeroporti vige per i dipendenti l'obbligo di registrare la propria presenza, un dispositivo che non è stato adottato quasi in nessuna stazione. Gli unici passi avanti si sono fatti solo in alcune grandi stazioni (tra queste Milano e Roma) dove sono stati installati dei tornelli per separare la zona dove circolano i treni da quella dei negozi e dei centri commerciali. Ma la sicurezza tout-court è affidata esclusivamente alle forze dell'ordine oppure ai vigilantes. Da qualche tempo, nei principali aeroporti e stazioni, sono stati affiancati ai militari anche alcuni 007 con lo scopo di monitorare possibili episodi o personaggi sospetti. Un meccanismo eccellente ai fini preventivi, ma certamente inefficace nel caso del verificarsi di un attentato, soprattutto in luoghi con alta concentrazione di persone che finirebbero nell'abbandonarsi al panico obbligando gli agenti ad un doppio lavoro. Senza contare la quasi totale assenza di informazioni, indicazioni e cartelli con le istruzioni da seguire in caso di emergenze che nei luoghi pubblici di molti Paesi stranieri rappresentano invece la norma. E lo stesso avviene sui mezzi pubblici e in particolare sugli autobus dove, a differenza di altri Stati, in molte città italiane non esistono tornelli e l'ingresso è consentito da qualsiasi porta anziché esclusivamente da quella anteriore. Se a Londra un conducente di bus, nell'ottica di una sicurezza che coinvolge tutti gli attori in campo, può fungere da «filtro» nel caso notasse personaggi sospetti, ciò sarebbe impossibile in Italia.

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