Ilaria Cucchi: «Non accuso l'Arma, ma singole persone»

Ilaria Cucchi: «Non accuso l'Arma, ma singole persone»
Ilaria Cucchi: «Non accuso l'Arma, ma singole persone»
Domenica 14 Ottobre 2018, 14:36 - Ultimo agg. 15 Ottobre, 14:02
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«Ci sono persone che sentono l'esigenza di difendere l'Arma dei carabinieri ma qui nessuno ha messo sotto accusa l'Arma ma singole persone». Ilaria Cucchi, in una lunga intervista a Mara Venier a Domenica In, chiarisce la sua posizione sui carabinieri a processo per la morte di suo fratello Stefano, dopo la svolta fornita da uno di loro, Francesco Tedesco, che ha accusato gli altri due colleghi imputati come lui per omicidio preterintenzionale, di essere gli autori del pestaggio. 

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«So perfettamente che la maggioranza di chi indossa la divisa sono persone perbene che compiono il loro dovere e lo fanno per noi. Però - osserva Cucchi- abbiamo un problema serio quando i carabinieri che vengono a testimoniare hanno paura a dire la verità, anche perché vediamo il trattamento riservato a Riccardo Casamassima», il carabiniere che con le sue dichiarazioni ha permesso la riapertura delle indagini e il nuovo processo. Capisco chi ha paura a parlare: è un problema serio. Ciò infanga l'onore della divisa, chi non rispetta la divisa è chi sbaglia».

Ilaria Cucchi è tornata anche sull'invito rivoltole dal Ministro Matteo Salvini, per un incontro al Viminale, ribadendo che
«anche se molte dichiarazioni di questi giorni sono significative io credo che la mia famiglia per prima cosa meriti delle scuse perché oggi sappiamo la verità e noi in questi anni siamo stati lasciati soli: noi non abbiamo mai mollato, Stefano era un ultimo ed è morto da ultimo ma i diritti non sono mai sacrificabili».

Nell'intervista ha anche ripercorso la vita del fratello
«era bello dentro - ricorda - aveva sempre un sorriso e una battuta. mi ripeteva, 'Ilà sei felice?'». Nell'adolescenza arriva il problema della tossicodipendenza, «io ero la più critica con lui, ero l'amica ma anche la sua peggior nemica», l'entrata in comunità di recupero, la voglia di tornare a vivere e a lavorare. Poi l'arresto per spaccio e l'inizio del calvario. E la sua lotta per avere giustizia.
«Nove anni sono tanti, ma per noi la verità era già chiara quel 22 ottobre: davanti al corpo di mio fratello mi venne in mente Federico Aldrovandi e chiamai l'avvocato Anselmo. Lui mi disse scatti le foto all'obitorio, all'autopsia».

Quelle foto con il corpo e il volto martoriato, come evoca anche "Sulla mia pelle", il film che quel calvario ripercorre, sono state la base per avvicinarsi alla verità.
«Oggi sappiamo che quel pestaggio vi fu perché Stefano rifiutò il fotosegnalamento. Nove anni fa - ricorda Ilaria - ci dicevano altro: che il fotosegnalamento a Stefano non era stato fatto perché non voleva sporcarsi le mani (per prendere le impronte digitali, ndr), il carabiniere Roberto Mandolini disse in aula che con Stefano era andato tutto bene, era tranquillo, anche simpatico per la sua parlata romana. Ora è emersa la verità: chi in aula giurò e disse il falso ora è imputato. Sono loro i responsabili di tutta questa perdita di tempo per la ricerca della verità, di 6 anni di processi sbagliati».

Perché non è stato curato, le domanda Mara Venier?
«Perché era un ultimo, vittima del pregiudizio.
Il giudice non ha saputo guardare oltre il pregiudizio: 140 pubblici ufficiali in 6 giorni non hanno visto oltre. Non hanno visto un detenuto come persona
». E poi il momento choc per la famiglia, arrivato dopo i vani tentativi di riuscire a mettersi in contato con Stefano, ricoverato in ospedale: «Abbiamo saputo della sua morte quando è arrivato a casa il decreto di notifica di autopsia. In pratica ai miei genitori è stato detto guardate che vostro figlio a breve sarà sezionato».

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