FlixBus, boom a Napoli
ma è guerra al low cost

FlixBus, boom a Napoli ma è guerra al low cost
di Francesco Lo Dico
Venerdì 24 Febbraio 2017, 14:26
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La guerra contro gli autobus low cost è esplosa ieri in Parlamento, con il governo costretto a fare marcia indietro sulla stretta anti-Flixbus, il servizio web che offre agli utenti corse in pullman a costi stracciati. Ad affossare l'azienda tedesca è stata in un primo momento un emendamento ad hoc contenuto nel Milleproroghe approvato definitivamente al Senato. Una leggina, che in buona sostanza concede l'autorizzazione a viaggiare di regione in regione, soltanto alle imprese che si occupano di trasporto su strada. E che mette Flixbus nella condizione di non potere più offrire i suoi servizi in Italia: l'azienda offre infatti viaggi in pullman sul web per conto di altri partner, non si occupa direttamente degli autobus, ma si limita a «sponsorizzarli» sotto la sua insegna.

«Un favore alle lobby dei trasporti», è insorto il Parlamento. Così che il governo si è visto costretto a fare retromarcia, dopo aver accolto un ordine del giorno che lo impegna a sopprimere la novità con il primo provvedimento utile, il ddl concorrenza. «La norma Flixbus sarà rivista. È necessario farlo per ampliare il diritto alla mobilità dei passeggeri, con minori costi e più garanzie», ha assicurato il viceministro dei Trasporti, Riccardo Nencini. Garanzie che hanno acceso l'ottimismo del manager italiano di FlixBus, Andrea Incondi «Contro di noi c'è stato un attacco grave portato avanti dai poteri forti e dalle lobby che cercano di fermare l'innovazione spiega ma siamo fiduciosi nell'impegno assunto dal governo». Per comprendere il perché di tanto astio, basta dare un'occhiata ai numeri di FlixBus, che oggi offre 45mila collegamenti al giorno verso 900 destinazioni di venti Paesi. In soli quattro anni l'azienda ha creato la rete di pullman intercity più estesa e popolata d'Europa. Oltre 21 milioni di passeggeri saliti a bordo all'insegna di una rivoluzione low cost che prima ha sbaragliato la concorrenza e poi l'ha costretta ad alleanze. La forza dei tipici bus verdi al servizio della piattaforma tedesca, è tutta nei prezzi imbattibili. Da Napoli a Siena si viaggia con meno di 10 euro, e per la stessa cifra si arriva anche a Milano. Nove euro e novanta tondi tondi: nessun costo di prenotazione, due valigie incluse, wifi e toilette a bordo, e 74 centimetri tra un sedile e l'altro per stendere le gambe. Come Ryan Air, ma sulla gomma. Un'ascesa inarrestabile che anche in Italia, dove la compagnia è sbarcata nel luglio del 2015, conta su numeri esorbitanti: 120 città italiane collegate a 1000 destinazioni europee, tre milioni di passeggeri nel 2016 (di cui 300mila soltanto a Napoli), 150 autobus in giro per il Paese, 50 aziende italiane di bus partner, e un indotto di 7-10 persone per pullman che ha generato circa 1000 posti di lavoro.

Prenotare una corsa su FlixBus è un'operazione piuttosto semplice e intuitiva. Prima lo fai, meno spendi: classica filosofia low cost. Si digita la stazione di partenza e quella di destinazione, pochi clic, qualche dato, e il pagamento con carta. Sempre molto modico. Da Roma a Torino 17,90 euro, da Milano a Parigi 29 euro, mentre per trascorrere il carnevale a Venezia o a Viareggio bastano 19,90 euro. Per chi ha in mente di rispolverare il brivido dell'Interrail, c'è anche un pass da 99 euro per viaggiare in cinque diverse nazioni, al costo medio di una giornata trascorsa in una capitale europea. Per rendere le cose ancora più semplici, FlixBus consente di acquistare i ticket anche via smartphone con un'app gratuita.

I sostenitori del green hanno di che gioire: tutti gli autobus utilizzati da Flixbus sono Euro5 ed Euro6 e non hanno più di tre anni di età. La filosofia aziendale, di matrice teutonica, non ammette deroghe. I mezzi affiliati a FlixBus devono essere in possesso dei più avanzati dispositivi di assistenza alla guida, e sono monitorati a distanza da una centrale di controllo che ne individua la posizione in tempo reale.

«Il segreto», racconta il managing director italiano, Andrea Incondi, «è stato quello di coinvolgere gli operatori a livello locale: sono loro a investire acquistando autobus nuovi di zecca mentre Flix-Bus si occupa di tutto il resto dalla pianificazione, vale a dire quali tratte offrire, con quali frequenze per quali città, fino al marketing e alla politica dei prezzi determinata grazie a un algoritmo molto sofisticato». E qui la spiegazione è d'obbligo. La startup nata in Germania nel 2011 dall'intuizione di tre giovani nerd informatici (Schwämmlein, Krauss e Jochen Engert) non possiede alcun pullman. Sulle carrozzerie dei bus il logo di Flixbus compare in tutta evidenza, ma i mezzi sono dei partner che decidono di affiliarsi al servizio. In Italia sono ormai una cinquantina, per lo più piccole medie aziende di trasporto a conduzione familiare: comprano i mezzi, pagano la benzina, stipendiano gli autisti. FlixBus ci mette la sua piattaforma e la sua clientela, ma decide il costo dei biglietti. Che dev'essere regolarmente stracciato. «Clienti soddisfatti nel 97 per cento dei casi», recita la pubblicità del portale. Un modello di business vincente, che non ha incontrato nei trasportatori tradizionali lo stesso entusiasmo dei passeggeri. A partire da Giuseppe Vinella, presidente dell'Anav, l'associazione delle aziende di trasporto viaggiatori di Confindustria, che è anche amministratore delegato di Sita Sud, e consigliere di Viaggi & Turismo Marozzi. «I prezzi stracciati hanno un costo per gli autiati e gli agenti ha tuonato. Flixbus non è che una software house. Che ingaggia ex noleggiatori o medie e piccole imprese per trasportare passeggeri. È un portale. Non un operatore». L'accusa è insomma quella di dumping, e cioè di concorrenza sleale. Tesi rispedita al mittente dal manager della compagnia low cost. «Su 50 aziende partner che lavorano con noi - precisa Incondi - il 60% sono associate all'Anav. Anzi, stiamo facendo crescere le società che lavorano con noi, la maggior parte delle quali ha dovuto incrementare numero di mezzi e di autisti».

Non sono però soltanto rose e fiori. E se c'è chi cresce, di sicuro c'è anche qualcuno che sull'altare del basso costo, ci rimette le penne. È il caso dei 115 autisti di Megabus, rimasti a casa ad agosto dell'anno scorso dopo che la compagnia ha chiuso le sue tre sedi italiane e venduto l'attività. In buona sostanza, la principale l'azienda proprietaria dei bus non riesce a coprire i costi, chiude i battenti insieme ai suoi autisti.
«La vera battaglia è quella contro l'auto privata, che è ancora utilizzata dall'80% dei viaggiatori», obietta Incondi. Quella su gomma, intanto, FlixBus l'ha stravinta.
 
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