Femminicidi, 1.600 orfani in 12 anni: otto su 10 hanno visto la madre morire

Femminicidi, 1.600 orfani in 12 anni: otto su 10 hanno visto la madre morire
di Gigi Di Fiore
Giovedì 22 Marzo 2018, 06:45
8 Minuti di Lettura
Giuseppe, 9 anni, dorme abbracciato alla nonna; Vittoria, 9 anni, non vuole sentir parlare del padre; Alessia, 10 anni, piange se è al buio; Stefania, 8 anni, in classe si isola totalmente dai compagni. Sono gli «orfani speciali», i bambini che hanno perso la madre uccisa dal padre. Orfani due volte. Secondo una stima di una ricerca universitaria, sono oltre 1600 negli ultimi 12 anni. L'80 per cento ha assistito all'omicidio della madre. Vite nel trauma, vite che devono riconquistare fiducia in una carezza. Vite senza genitori, persi per un atto di violenza innaturale.
La piccola Vittoria chiama la nonna «mamma». È lei il suo riferimento, lei la sua famiglia. Nonno Gennaro è invece il suo papà. Vite di bambini senza più famiglia originaria perché il padre ha ucciso la madre. Come Vittoria, la figlia di Melania Rea, uccisa sette anni fa dal marito Salvatore Parolisi con 35 coltellate. Vittoria non aveva ancora compiuto due anni.

«Non è stato facile, soprattutto per noi - dice Gennaro Rea, il nonno di Vittoria - È lo Stato che abbiamo visto distante, sia economicamente sia in procedure giudiziarie assurde. Ma alla fine ce l'abbiamo fatta ad assicurare a nostra nipote, che è diventata una figlia, un'atmosfera serena».

Vittoria ascolta la musica con le cuffiette, mentre il nonno parla. Ha la sua cameretta nella casa dei nonni. È contenta quando va a scuola. Sono i nonni a parlarle della mamma, era troppo piccola per ricordarne anche solo una carezza. Di quello che i nonni chiamano «il mostro», il padre omicida, non chiede mai. Anche perché il Tribunale per i minori di Napoli ha tolto la potestà genitoriale a Parolisi e ha detto no alla sua richiesta di poter vedere la figlia.

I nonni, con delicatezza, le hanno raccontato. Lei ha scelto di chiamarli mamma e papà. Dice nonno Gennaro: «Noi non avevamo difficoltà economiche, ma quanti nonni, che vivono una situazione simile, sono nelle stesse condizioni? Sentivo la vicenda di Terzigno e mi chiedevo a cosa serve ad una donna denunciare, se poi non è protetta».
 
Vite di orfani particolari. Secondo la stima di Anna Costanza Baldry, docente di Psicologia all'Università Vanvitelli di Napoli, questi orfani in Italia sono diventati circa 1600 negli ultimi 12 anni. La Baldry ha creato un gruppo di ricerca su questo fenomeno, fornisce assistenza e il suo Dipartimento universitario è diventato un riferimento. Spiega, riferendosi anche ai risultati dello studio pubblicato nel libro «Orfani speciali»: «Questi bambini vittime indirette vivono naturalmente particolari conseguenze psicologiche, che si riflettono sull'andamento scolastico, sulla socialità, sulla vita relazionale. Va detto, però, che anche con un trauma di questo tipo per loro non c'è un destino obbligato al malessere».

Sono soprattutto i nonni i nuovi genitori di questi ragazzi. Il professore Matteo Morlino, ex assessore comunale a Foggia, si occupa di due nipoti, di nove e sei anni, con la moglie Maria Teresa anche lei insegnante in pensione. Anche loro hanno vissuto la triste esperienza della figlia Carmela uccisa con 15 coltellate dal marito Marco Quarta, tre anni fa. A 73 e 66 anni, Matteo e Maria Teresa si considerano «nonni genitori». Vivono a Foggia e Matteo ha raccontato: «Sono bambini problematici, hanno assistito all'omicidio della madre». Giuseppe, il maschietto, non vuole restare da solo, anche in bagno ha bisogno di qualcuno che lo accompagni. Per molto tempo, si nascondeva sotto il letto quando sentiva il citofono e a scuola non riusciva a parlare con nessuno. Ha spiegato nonno Matteo: «Il maschietto, ma anche la femminuccia dormono abbracciati alla nonna, non si fidano della figura maschile». 

C'è stato bisogno di una lunga assistenza psicologica, un sostegno che aiutasse i due bambini a superare il trauma. Secondo le statistiche, almeno l'80 per cento di questi ragazzini sono stati testimoni dell'omicidio della madre. Un 34 per cento ha dovuto assistere per mesi alle violenze del padre sulla madre. A nominare formalmente tutori i nonni o anche gli zii è il Tribunale per i minori. Dice Patrizia Esposito, presidente del Tribunale per i minori di Napoli: «Non esistono statistiche mirate sugli orfani di donne uccise dai mariti. Interveniamo sulla potestà genitoriale dei padri omicidi, investiti dalla richiesta della Procura per i minori, o sull'assegnazione di questi bambini in situazioni controverse».

Nella ricerca coordinata da Anna Costanza Baldry, che ha creato un progetto-osservatorio denominato «Switch-off.eu», sono raccolti anche passaggi di osservazioni raccolte dai servizi sociali e dagli psicologi di tutt'Italia, intervenuti in vicende di diversi femminicidi. In uno si legge: «Nonostante ognuno abbia storie e percorsi diversi, ciò che sorprende è che tutti gli orfani sono accomunati da sentimenti di rabbia e tristezza».

Molti bambini vengono assaliti da sensi di colpa, per aver visto i maltrattamenti contro la madre poi uccisa e non aver potuto fare nulla. Molti si vergognano di non essere come gli altri bambini, di aver perso la mamma perché «il papà l'ha uccisa». Come Stefania, che ha scritto una lettera alla mamma morta, affidata all'assistente sociale: «Ogni anno nel giorno della sua morte ti piango ininterrottamente, ma non ne parlo con nessuno. Mi pesa non poterti più abbracciare, conoscevo a memoria il tuo viso e non sono più riuscita a dormire nel mio letto senza di te».

Vite da orfani. Se anche il padre, come è successo a Terzigno, si è ucciso, non c'è l'ulteriore trauma di lunghi processi, o tentativi dell'omicida di scrivere lettere dal carcere ai figli. Ha raccontato sempre Matteo Morlino: «I processi costano e con mia moglie abbiamo speso tutta la liquidazione. Abbiamo dovuto affrontare anche una causa per sancire la rinuncia all'eredità dell'uomo che ha ucciso mia figlia».
Un paradosso, che si è prolungato fino al mese scorso: il marito omicida era formalmente ancora erede legittimo della moglie uccisa. La legge, approvata a dicembre e in vigore dal mese scorso, ha sanato queste assurdità. È stato creato un fondo di assistenza a rotazione per gli orfani, è stata loro concessa la facoltà di cambiare cognome, mentre all'uomo omicida si applica, «per indegnità», l'incapacità e far parte degli eredi della moglie uccisa.

Per molti è ancora poco, se in tante Regioni si sono approvate leggi con fondi per gli orfani di femminicidi. Come nel Lazio e in Piemonte. In Campania, è stata presentata due anni fa una proposta di legge. Dice la relazione illustrativa: «Il dopo violenza è un percorso difficile per le cosiddette vittime collaterali, che vengono subito dimenticate. È un recupero non solo sociale, ma soprattutto interiore per un trauma subito che li accompagnerà per la vita con il ricordo delle brutalità vissute».
Anche i genitori di Stefania Formicola si sono presi in casa i nipoti di tre e sei anni. La figlia è stata uccisa a Sant'Antimo dal marito Carmine D'Aponte. «Un modo anche per sentire viva la loro figlia, prendendosi cura di quei bambini» ha spiegato il loro avvocato Nino Longobardi. La piccola Asia, 5 anni, vive con la nonna Vera da quando la madre, Giordana Di Stefano, è stata uccisa dal padre Luca Priolo a Nicolosi vicino Catania. La nonna ha scelto, per ora, di non dirle nulla. «Glielo racconterò quando avrà l'età giusta per capire» dice nonna Vera, che ha ottenuto dal Tribunale per i minori di togliere la potestà genitoriale all'omicida della figlia. E spiega ancora nonna Vera: «Sarà la piccola Asia a decidere, quando sarà più grande, che tipo di rapporto vorrà avere con il carnefice di sua madre». Asia chiede della mamma, la nonna le racconta che «ora è un angelo in cielo, che può scorgere tra le stelle». 

Stefania, 8 anni, vive invece con gli zii materni in Toscana. I nonni erano troppo anziani, per potersene prendere cura. La mamma è stata uccisa dal papà che è in carcere. Gli zii, che hanno un'altra figlia, l'hanno accolta e la proteggono. Hanno avuto bisogno di sostegno psicologico e proprio alla psicologa Stefania ha regalato una sua lettera alla mamma. Racconta di una maestra supplente che non conosceva la sua storia e aveva invitato la classe a scrivere una letterina in vista della festa della mamma. Ha scritto Stefania, nella lettera consegnata alla psicologa, indirizzata alla madre che non c'è più: «Tu mamma, non ci sei, papà ti ha ucciso due anni fa, ma non sapevo come dirglielo alla maestra, mi vergognavo, e di raccontare una bugia non ho voglia. Io sono una bambina curiosa, ma non stupida, il tuo nome sta su Internet e ho sentito a casa parlarne agli zii. Ma è una vergogna, forse lo fanno per proteggermi, ma eri tu mamma che dovevi proteggermi».

L'affidamento ai nonni, agli zii, o ad altre persone è monitorato dai servizi sociali dei comuni. Sui nonni di Vittoria a Somma Vesuviana, hanno scritto gli assistenti sociali: «Hanno dimostrato esemplare capacità di accudimento e premura, assicurando alla bambina una vita serena ed equilibrata». Sugli «orfani speciali» gli assistenti sociali dei Comuni devono affrontare un lavoro su cui, in molti casi, non sono preparati. Spiega la professoressa Baldry: «Senza generalizzare, capita anche che i servizi sociali non siano in grado di gestire un tipo di realtà che ha bisogno di una formazione psicologica particolare. Eppure, sono proprio le assistenti sociali, insieme con gli psicologi che assistono i minori, che devono relazionale al Tribunale per i minori che deve decidere sull'affidamento dei bambini».

Vittime sopravvissute, che devono poter sanare ferite profonde, gli orfani due volte hanno finalmente avuto da un mese una loro legge. Sono loro ad aver bisogno di essere compresi, di ritrovare il senso della loro vita spezzata in casa. «Sono arrabbiata con tutti e non penso che riuscirò mai ad avere una mia famiglia, perché non sono in grado di fare la madre, per la rabbia e la delusione che mi porto dentro nei confronti di tutto e tutti». Nelle parole di Ilaria, 11 anni, raccolte dalla sua psicologa, il buio e l'angoscia da cui questi bambini chiedono di essere tirati fuori.
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