Così è scoppiata la faida del Gargano: le giovani leve scalano i vertici della mafia

Così è scoppiata la faida del Gargano: le giovani leve scalano i vertici della mafia
Mercoledì 9 Agosto 2017, 17:53 - Ultimo agg. 10 Agosto, 10:19
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È un quadro criminale «complesso e instabile» quello della provincia di Foggia, caratterizzato dalla «notevole frammentazione dei gruppi» e da «equilibri precari anche all'interno delle singole organizzazioni», con una pericolosa «ascesa delle giovani leve» e contrasti che hanno dato vita ad una «guerra di mafia tuttora in evoluzione» e connotata da episodi di «inusitata violenza». In questo contesto, descritto dalla Dia, è maturato l'agguato di San Marco in Lamis che avrebbe avuto come obiettivo Mario Luciano Romito, 50 anni, di Manfredonia, ritenuto uno degli esponenti di spicco del clan che negli ultimi anni si è contrapposto a quello dei Libergolis nella «faida del Gargano».

A livello regionale, scrive la Dia nell'ultima relazione al Parlamento, «il panorama delinquenziale continua a caratterizzarsi per i costanti mutamenti, dovuti anche all'emersione di nuovi gruppi» che si affiancano alle principali formazioni mafiose, «storicamente radicate nelle province di Lecce, Taranto e Brindisi».
 

 

Le attività criminali più diffuse sono l'usura, le estorsioni, lo spaccio di droga e il gioco illecito. La criminalità foggiana si caratterizza invece per la sua «eterogeneità»: sono molti i gruppi criminali sulla scena, senza un organo decisionale condiviso. Ognuno agisce per conto proprio, anche se «i diversi sodalizi risultano spesso convergere in sinergie operative finalizzate al perseguimento di obiettivi criminali comuni». A ciò si aggiunga «un contesto ambientale omertoso e violento, con una sempre maggiore commistione tra criminalità comune e organizzata».
 

Con specifico riferimento all'area garganica, poi, lo scenario - sottolinea la Dia - «è molto instabile». Essenzialmente per due fattori: «la presenza di gruppi a forte organizzazione verticistica, basati essenzialmente su vincoli familiari e non legati tra loro gerarchicamente» e «l'ascesa delle giovani leve desiderose di colmare i vuoti determinati dalla detenzione di elementi di spicco», in particolare quelli appartenenti al clan Libergolis, o «dei Montanari». I Libergolis (originari di Monte Sant'Angelo) sono stati contrapposti dalla fine degli anni '70 in una sanguinosa faida - decine i morti ammazzati - con il clan degli Alfieri-Primosa e, più di recente, con la famiglia Romito (quella del pregiudicato ucciso oggi), un tempo alleata.

Secondo quanto ricostruito in numerose inchieste giudiziarie, infatti, i Libergolis avrebbero rappresentato il braccio armato dello storico «clan dei Montanari», mentre i Romito si sarebbero occupati di gestire i proventi degli affari illeciti e i rapporti con gli ambienti economici e politici. L'alleanza si è però rotta, per questioni di potere e di controllo del territorio, e una nuova guerra è cominciata. «In uno scenario così complesso - conclude la Dia - le attività illecite più remunerative continuano ad essere il traffico di stupefacenti, le estorsioni e i reati di natura predatoria, in particolar modo le rapine ai tir ed ai portavalori».

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