Delitto a Garlasco, nuova perizia:
«Dna non è di Alberto Stasi»

Delitto a Garlasco, nuova perizia: «Dna non è di Alberto Stasi»
Lunedì 19 Dicembre 2016, 08:28 - Ultimo agg. 20 Dicembre, 11:25
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L'unico dato certo è che il Dna rinvenuto sotto le unghie di Chiara Poggi appartiene a un uomo. Per il resto sono proprio le ultime analisi su queste minime e degradate tracce di Dna a riaccendere lo scontro tra difesa e parte civile nel delicato caso del giallo di Garlasco.

I legali di Alberto Stasi, ora in cella per espiare una condanna a 16 anni inflitta dalla Cassazione dopo un lungo e tortuoso processo, si sono affidati a un'agenzia di investigazione e a un genetista, il cui nome è top secret, per arrivare a ritenere che Alberto sia da scagionare e che l'assassino di Chiara sia un giovane della cerchia delle amicizie della giovane donna brutalmente uccisa e mai conosciuto dal loro assistito. E questo perché l'esperto da loro nominato ha confrontato il «materiale grezzo» da loro consegnato ed estrapolato dalle unghie di Chiara con il dna prelevato, a sua insaputa, da una persona il cui nome è riportato nelle carte dell'indagine e su cui si è focalizzata la loro attenzione. I due campioni sono così «risultati perfettamente compatibili» e quindi tale esito «è scientificamente attendibile».
 


Non così per i legali dei Poggi che, ritenendo che quella raccolta dalla difesa «non sia una prova scientifica», si riportano alle conclusioni di Francesco De Stefano perito nominato dalla Corte d'Assise d'Appello nel processo di secondo grado 'bis'. Già nel 2014 l'esperto aveva sostenuto che l'unico dato scientificamente accertato era la presenza di Dna maschile (cromosoma Y) al'interno di quanto è stato estratto mediante tecnica di «lavaggio» dal «materiale subungueale», cioè dai frammenti delle unghie prelevate dal cadavere della vittima. Oltre, però, non era possibile andare: erano state eseguite due analisi, rispettivamente sul 40% e sul 50% dell'estratto - aveva scritto nella sua relazione peritale - ottenendo «risultati incostanti» e «gravati da artefatti conseguenti a possibile degradazione ed inserimenti di contaminanti».

Il perito dei giudici concludeva che «non» era «possibile definire un'ipotesi d'identità» in quanto non si era raggiunto un risultato replicabile sullo stesso campione (l'analisi ripetuta due volte non ha fornito uguali risultati). E che non si può nemmeno «escludere che nel materiale subungueale prelevato nel corso dell'autopsia di Chiara (..) sia presente anche Dna riferibile a Stasi».
In ultima analisi quel materiale che ora fonda la richiesta della riapertura del caso da parte della difesa di Stasi, per il perito e per i legali dei poggi era «inutizzabile» e non portava a individuare alcuna persona.

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