Crollo del ponte a Genova, il professor Ceravolo: «Combinazione sfavorevole di più fattori»

Crollo del ponte a Genova, il professor Ceravolo: «Combinazione sfavorevole di più fattori»
Martedì 14 Agosto 2018, 22:56
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“E’ difficile dirlo in questa fase, le inchieste sul ponte di Riccardo Morandi di Genova cercheranno di spiegare ciò che è successo. Solitamente un collasso di queste proporzioni si spiega con l’interazione sfavorevole di più fattori”.

Il professor Rosario Ceravolo insegna Ingegneria sismica al Politecnico di Torino (dipartimento di Ingegneria strutturale, edile e geotecnica) e coordina il laboratorio di Dinamica e sismica “Gian Mario Bo”, un gruppo internazionalmente riconosciuto nel campo della protezione sismica e monitoraggio del beni architettonici. Sulle opere di Riccardo Morandi e di Pierluigi Nervi e sulla loro manutenzione e recupero, Ceravolo ha tenuto di recente, insieme a ricercatori e progettisti, una relazione al Mit di Boston al convegno annuale dalla Iass (International Association for Shell and Spatial Structures), un'associazione che si occupa dell'integrazione creativa tra istanze dell'ingegneria e dell'architettura.

Che cosa può aver causato il crollo del viadotto Polcevera di Riccardo Morandi?
“In questo caso tra i fattori che potrebbero aver inciso va senz’altro annoverato il sistema costruttivo molto particolare, così come il degrado dei materiali. Importante sarà anche valutare i lavori di manutenzione che costantemente sono stati fatti in questi anni”.



Qual è la particolarità del sistema costruttivo di questo ponte?
“Nel corso del XX secolo i vantaggi del nuovo materiale da costruzione, il cemento armato, portarono progettisti come Riccardo Morandi a immaginare e sperimentare nuove forme strutturali.  Sulla fine degli anni cinquanta Morandi introdusse gli schemi a trave bilanciata, nel ponte sul Vella a Sulmona, o nel Padiglione V di Torino Esposizioni. Successivamente si concentrò sulle strutture strallate in modo da poter realizzare luci sempre maggiori (lunghe, ndr). Alcune di queste realizzazioni sono ora considerate come patrimonio culturale, anche se non sono soggette a vincolo, da organizzazioni internazionali quali l’Unesco. L’opzione della demolizione delle opere di Morandi, come quelle realizzate da altri grandi strutturisti, deve tra l’altro fare i conti con le esigenze della tutela e della conservazione. Queste problematiche diventano sempre più attuali, a causa del progressivo invecchiamento e degrado delle strutture in calcestruzzo, quali ponti e grandi coperture, realizzate nel secolo scorso”.

Come si possono rispettare sia le esigenze della conservazione sia quelle della sicurezza?
“Come nel caso più generale del patrimonio architettonico, è necessario investire in conoscenza, quindi in indagini sperimentali e numeriche, oltre che privilegiare tecnologie poco invasive, anche in materiali innovativi, soprattutto in zona sismica. Il percorso richiede passi successivi (simili a quelli dell’anamnesi, diagnosi, terapia e controlli, adottati nella medicina) per valutare la vita residua della struttura, e per definire gli interventi per un prolungamento vita utile della stessa nel tempo”.

E nel caso specifico delle strutture di Morandi?
“Si potrebbero elencare diverse criticità. Forse quello che preoccupa di più nelle strutture di Morandi è lo stato di conservazione delle armature di precompressione, specie in strutture realizzate nei periodi iniziali di questa tecnica costruttiva che non permette poi di verificare con facilità lo stato dei cavi di acciaio coperti dal calcestruzzo. Bisogna avere a mente che le tecniche operative di allora non erano ai livelli odierni, mi riferisco in particolare agli aspetti della durabilità”.

 
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