Car sharing, tariffe basse nel mirino
L'ira dei tassisti: concorrenza sleale

Car sharing, tariffe basse nel mirino L'ira dei tassisti: concorrenza sleale
di Francesco Lo Dico
Venerdì 17 Febbraio 2017, 08:25 - Ultimo agg. 19:53
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 Nella partita che contrappone tassisti e autisti 2.0 si confrontano in buona sostanza interessi corporativi e libera concorrenza, schemi novecenteschi e web-economy. Ma al netto della protesta incendiaria divampata ieri nelle piazze, Uber e gli altri servizi di Ncc (e cioè di noleggio auto con conducente) danneggiano davvero i tassisti? E quali vantaggi reali offre ai cittadini? Nata a San Francisco nel 2009, l’azienda californiana si è imposta in pochi anni in più di 53 Paesi e oltre 250 città in tutto il mondo. Sin dalla nascita, la multinazionale americana struttura la propria offerta di mobilità sulla base di sei differenti tipi di servizio: UberX (opzione low cost che offre corse su un’utilitaria, UberTaxi, UberBlack (il marchio di fabbrica dell’azienda, che lega le corse a eleganti berline nere), UberSuv, UberLux (auto eleganti) e UberVan (furgoncini per sei-otto persone).

Il funzionamento dell’applicazione è rapido ed essenziale. Basta digitare la propria posizione, e i sistemi di geolocalizzazione individuano subito l’auto più vicina e i tempi di arrivo, senza dover effettuare alcuna chiamata. Un sistema cool, vicino alle abitudini giovanili, che attira gli strali dei tassisti quando l’azienda decide di lanciare un settimo pacchetto di servizi, denominato Uberpop, che sbarca anche in Italia nel 2013 a Milano. Si tratta di un’opzione di viaggio che consente a chiunque sia in possesso di una vettura, di diventare un autista Uber, senza licenza.

Un’autentica rivoluzione, fondata sui principi del car sharing, che approdata poi anche a Roma, Genova, Torino e Firenze, scatena la rivolta degli autisti tradizionali. I vantaggi per gli utenti dell’app sono in effetti consistenti. Basti pensare che nel capoluogo lombardo la tariffa per Uber Pop viene fissata a 2,50 euro a inizio corsa, più 49 centesimi al minuto, con minimo di 5 euro a corsa. I parametri base della tariffa per i taxi sono invece di 0,98 euro al chilometro e di € 25,67 all’ora, più vari supplementi come quello notturno, che vale un’aggiunta di sei euro circa sul costo finale. Ma a fare la differenza, oltre ai costi, è anche la modalità di pagamento.

Se sui taxi pagare con carta è un’impresa raramente coronata dal successo, Uber consente al cliente di prenotare l’auto tramite l’app, e calcola il costo della tratta in anticipo, senza sgradevoli sorprese all’arrivo. Il denaro viene scalato dalla carta di credito soltanto quando si giunge a destinazione, senza mance né discussioni su costi occulti o imprecisati. Una corsa da Milano a Malpensa, per fare un esempio, costa circa 35 euro, contro la tariffa ufficiale, quasi mai applicata, di 90 euro pagata a bordo dei taxi standard. Nonostante il grande successo, UberPop viene tuttavia fermato il 26 maggio del 2015 dal tribunale di Milano, per «concorrenza sleale verso i tassisti». Gli autisti di Uber non pagano una licenza dal costo medio di circa 150mila e l’assicurazione per “usi professionali”, e quindi non possono praticare tariffe vantaggiose come quelle offerte dall’app, obietta il giudice.

Lo stop in tribunale lascia in piedi, in buona sostanza, soltanto UberBlack, il servizio con autisti professionisti in berlina nera, che assorbe la maggior parte delle prenotazioni. Costa in media il 20 per cento in più di quello offerto da un taxi tradizionale. Ma nonostante le limitazioni, Uber resta comunque nel mirino, per via di un’altra fondamentale differenza. Per fare i tassisti, occorre un’età minima di 21 anni, la conoscenza del codice stradale certificata dal superamento di un esame specifico, e l’acquisto di una licenza che costa circa 150mila euro, ammortizzata in dieci anni di attività. Viceversa, per diventare autisti Uber occorre il possesso di una licenza Ncc, un’auto che non abbia più di cinque anni e sia in buono stato, e il superamento di un colloquio di prova.

E qui emerge il vero discrimine: se il lavoro del tassista è a tempo pieno, e prevede il pagamento di contributi, quello degli autisti Uber non è assimilabile a lavoro dipendente. Al lordo, un tassista guadagna in media 130 euro al giorno. Chi lavora con Uber invece lo fa occasionalmente, come un secondo lavoro. In pochi vanno oltre i sessanta euro al giorno, ma si tratta di somme incassate soltanto quando i dopolavoristi decidono di apparire on line. A fine corsa, il «volontario» non riceve compensi diretti. Il suo emolumento viene automaticamente pagato tramite la carta di credito a una società terza. Dei 2,50 euro più 49 centesimi al minuto previsti, Uber trattiene il 20 per cento, e lascia il resto al guidatore. 

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