Bluff incentivi: aziende
finanziate e fuggite dal Sud

Bluff incentivi: aziende finanziate e fuggite dal Sud
di Francesco Pacifico
Martedì 3 Luglio 2018, 08:57 - Ultimo agg. 08:58
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Giuseppe Spadaro, leader della Cgil campana ricorda quando, «nel tentativo di mantenere il lavoro sul territorio, si decise che gli stabilimenti costruiti con la legge 488 nel Mezzogiorno, non potessero essere spostati. Alla fine sono rimasti soltanto i capannoni, ma sono scappate le imprese». Proprio la legge 488 è la madre di tutte le truffe sugli incentivi. Dei cento miliardi erogati dal 1992 fino all’inizio del nuovo secolo per industrializzare le aree svantaggiate, almeno un decimo dei soldi è andato perduto. Emblematica al riguardo la storia raccontata da «Report» di un presunto imprenditore torinese, che si presentò come lo zio d’America a Cutro, dalle parti di Crotone. Ben vestito, eloquio fluido, promise che avrebbe costruito un impianto per ricambi di auto, assumendo 250 operai del territorio. Riuscì, sempre grazia alla sopraccitata 488, a farsi finanziare dallo Stato 120 milioni di lire. Poi, una volta ricevuta la prima la prima tranche da 6 milioni e posta la prima pietra, fece perdere le sue tracce. Quando la guardia di finanza di Catanzaro andò a cercarlo a Torino, scoprì che non soltanto non viveva lì, ma che era già riparato con i soldi in Brasile. 
I PRECEDENTI
Questa vicenda è un caso limite, ma anche senza sfociare nel penale sono tante le aziende che in modo più o meno lecito hanno preso soldi pubblici per aprire stabilimenti in zone depresse, per modernizzare i loro macchinari o per fare assunzioni. E che, nonostante i finanziamenti, non si sono fatte scrupoli dal licenziare, chiudere o delocalizzare all’estero. Per scongiurare questi fenomeni Luigi Di Maio, nel suo decreto Dignità, inserirà la revoca parziale o totale degli aiuti alle realtà che, nei cinque anni dall’erogazione dei fondi, riducono il personale. Dovrà essere restituito l’ammortamento per le macchine, se queste vengono cedute a titolo oneroso o delocalizzate.
Prendi i soldi (pubblici) e scappa è un refrain che si è ripetuto al Nord quanto al Sud. Ma è proprio nella parte più povera del Paese che ha lasciato i maggiori strascichi. Emblematico al riguardo quando successo con la Fiat a Termini Imprese. Nel 2009, due anni prima di dismettere l’impianto, il Lingotto ottenne dalla regione Sicilia 400 milioni destinati a potenziare il porto locale e altri 500 milioni nel contratto di programma del 2008. Sempre Fiat decise nel 2011 di chiudere il polo Iribus di Valle Ufita, perché - testuale - lo Stato non gli dava la garanzia di vincere tutte le gare nelle forniture di autobus aperte dai Comuni.
Secondo la Slc Cgil uno dei comparti più sostenuti è quello dei call center: tra il 2014 e il 2016, per mantenere in Italia le strutture, è stato stanziato mezzo miliardo di euro di soldi pubblici tra ammortizzatori sociali, incentivi per nuove assunzioni e nuove sedi, decontribuzioni. Ma nonostante questo sono tante le delocalizzazione effettuate dal settore. L’ultimo caso riguarda la Comdata che ha scelto di chiudere le sedi di Pozzuoli (a casa 60 addetti) e quella di Padova (212 dipendenti), nonostante le commesse non manchino per andare all’estero dove costa meno il lavoro.
Otre 300 posti si sono persi in Campania nei supermercati delle grandi catene (come Ipercoop o Auchan) che nel napoletano, nell’avellinese o nel casertano hanno ottenuto dagli enti locali sgravi (soprattutto sugli oneri accessori) per aprire in Campania. I soldi pubblici non sono neppure riusciti a salvare la Keller, che pure occupava 700 persone tra gli stabilimenti di Villacidro, nel Sud della Sardegna, e di Carini, nel palermitano. Cioè due zone ad alto tasso di deindustrializzazione. Nel 2006 i vertici di quest’azienda che realizzava carrozze ferroviarie, minacciarono ferro e fuoco contro chi metteva in dubbio «l’ottima salute della fabbrica». Nel 2014, invece, è fallita e da allora è iniziato il calvario per gli ex dipendenti. Ma quel che è peggio è che a inizio anno i magistrati della procura di Cagliari hanno scoperto che nel 2009 il gruppo aveva ottenuto un investimento da parte della finanziaria regionale sarda Sfirs di 6 milioni di euro, in cambio di un potenziamento produttivo. Di quel denaro furono versati 3,5 milioni come anticipazione, mentre gli altri 2,5 milioni furono bloccati quando fu chiaro che non c’era futuro per la Keller. Per la cronaca l’azienda aveva sottoscritto a garanzia della anticipazione una fideiussione, che però la giunta sarda non è mai riuscita a far valere per recuperare il maltolto. 
LE STIME
Negli anni scorsi l’economista Francesco Giavazzi stimò in circa 35 miliardi gli incentivi destinati in Italia alle imprese. Per la cronaca tutti gli enti coinvolti (quelli locali o Invitalia) inseriscono causali per legare i finanziamenti statali a precisi obiettivi come il rinnovo dei macchinari, le assunzioni o il restyling degli stabilimenti, ma non si può vincolarli, andare più nello specifico nelle causali, perché altrimenti si rischierebbe di trasformare i fondi in aiuti di Stato e incorrere nelle ire delle Ue. Giuseppe Spadaro dice «che il ministro Di Maio è mosso da nobili intenti. Ma è difficile riuscire a riavere tutti i fondi dati alle aziende che non si sono mostrate virtuose, al massimo si può ottenere un impegno morale». Ci aveva provato anche il predecessore di Di Maio, Carlo Calenda, che non era andato oltre un fondo da 200 milioni di euro. La Campania, invece, vuole introdurre un sistema di premialità e di penalizzazioni, favorendo nei futuri bandi chi ha utilizzato i soldi pubblici per assumere e non è scappato.
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