Alatri, due fermi a Roma per la morte di Emanuele: «Pestato più volte e finito
quando è tornato a prendere Ketty»

Alatri, due fermi a Roma per la morte di Emanuele: «Pestato più volte e finito quando è tornato a prendere Ketty»
Martedì 28 Marzo 2017, 08:05 - Ultimo agg. 29 Marzo, 09:09
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Sono stati 15 minuti di orrore, di violenza inaudita e gratuita, compiuta davanti a decine di ragazzi che riempivano la piazza centrale di Alatri. Nessuna azione fulminea ma compiuta a più riprese anche se per il Procuratore capo di Frosinone Giuseppe De Falco per ora non si può parlare di premeditazione. Piuttosto di una violenza scatenatasi probabilmente da un mix di alcol e droga e dalla voglia aberrante di dimostrare «davanti a tutti chi comanda e controlla il territorio».

«La vicenda è di una gravità spaventosa perché per motivi banali, una lite per una bevanda, si è arrivati alla morte di un ragazzo innocente e perbene. Tutto nato da un diverbio in discoteca con un ragazzo che, tengo a precisarlo, non è albanese». Così De Falco nel corso di una conferenza stampa nel Comando provinciale dei carabinieri di Frosinone sull'omicidio di Emanuele Morganti, il ventenne di Tecchiena di Alatri morto domenica all'Umberto I di Roma in seguito al pestaggio avvenuto nel centro frusinate venerdì notte. Una vicenda che ha portato al fermo di due giovani, mentre altri cinque risultano indagati.

 

 

Secondo la ricostruzione del procuratore, il diverbio iniziale è nato all'interno della discoteca Mirò per la destinazione di un cocktail. La discussione fra Emanuele, che era arrivato insieme alla fidanzata Ketty nel locale affiliato all'Arci, e un italiano, probabilmente ubriaco, è terminata quando con maniere molto decise i buttafuori hanno allontanato dal locale sovraffollato il ventenne e non l'altra persona, che non ha quindi partecipato al pestaggio. Anzi, ai pestaggi perché, hanno ricostruito gli investigatori, sono stati diversi, almeno tre, in varie zone del centro di Alatri.

E lì, fuori dal locale, che è iniziato l'orrore: il ragazzo è circondato e picchiato da un gruppo che è nella piazza. Riesce a rialzarsi e fugge. Forse, si ipotizza. per quanto frastornato, vorrebbe anche tornare a riprendere la fidanzata. Il branco lo insegue, lo riprende e lo picchia ancora. Fino ai colpi finali, forse inferti con un manganello e un tubo in ferro (potrebbe essere una grondaia divelta da un muro). Colpi alla testa, sferrati con terribile violenza. Molti guardano. Solo un amico di Emanuele interviene, si butta sul suo corpo ed è fatto bersaglio di colpi. Impaurito si allontana.

I carabinieri hanno sentito decine di persone e dai loro racconti sono emerse incongruenze
«dovute a reticenze, omertà o semplice confusione», ha detto il Procuratore, che hanno portato all'individuazione dei sette indagati, fra i quali i due che hanno partecipato all'ultimo pestaggio, quello risultato fatale. Si tratta dei fratellastri Mario Castagnacci (27 anni, cuoco), ritenuto l'esecutore materiale di uno dei pestaggi (quello risultato letale), e Paolo Palmisani (20 anni). I due, indagati per omicidio volontario aggravato dai futili motivi, non si sono consegnati alle forze dell'ordine e sono stati rintracciati a casa di parenti a Roma dove si erano rifugiati. 



Si tratta di individui già noti alle forze dell'ordine che forse hanno voluto esercitare con la violenza il controllo del "loro" territorio. «Dobbiamo verificare se il comportamento così violente sia stato determinata da abuso di alcool o droga. Indagini devono accertare meglio - ha detto ancora De Falco - il movente di questa aggressione, se si sia trattato di esplosione di violenza fine a se stessa per affermare il controllo della zona o per altre ragioni compreso l'equivoco iniziale che ha portato ad escalation».

«Nonostante indizi concreti sui due fermati, c'è ancora molto da investigare
», ha aggiunto il procuratore. Fra gli altri cinque indagati, uno è albanese. Fra costoro anche buttafuori della discoteca. Nei loro confronti si procede per rissa e omissione di soccorso. 

Era arrivata nella notte la svolta nelle indagini per l'omicidio di Emanuele Morganti, quando i due fratellastri di Alatri (30mila abitanti in provincia di Frosinone) sono stati fermati a Roma e portati nel carcere di Regina Coeli. 

Intanto ad Alatri, nel giorno di lutto cittadino, si è appreso che i familiari di uno degli indagati hanno preferito lasciare il paese: «La famiglia di Paolo abita qui. Sono dovuti andare via per le minacce ricevute». A raccontarlo è lo zio di Paolo Palmisani. «È assurdo, non riesco ancora a crederci - spiega -. Mi chiedo, se è vero quello che raccontano, come abbia fatto tutta quella gente a restare ferma senza intervenire. Siamo distrutti». «Due famiglie distrutte - dice ancora - Paolo è magrolino, bulletto come tutti i ragazzi della sua età, magari un po' di più con qualche bicchierino di troppo. Quello che è successo è colpa delle cattive compagnie».


I parenti e la fidanzata di Emanuele Morganti non si danno pace e chiedono giustizia. Intervistata dal Messaggero, la ragazza ha raccontato i drammatici momenti del pestaggio all'interno del locale di Alatri. «Ho cercato di difenderlo ma erano della bestie», ha detto. «Vogliamo giustizia o ce la facciamo da soli», è stato invece il doloroso sfogo della zia di Emanuele.

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