«Politicizzare il caso non aiuta». Sulla vicenda Ilaria Salis la linea del governo la detta - per competenza - il ministro degli Esteri Antonio Tajani, invocando «serietà e prudenza». Fattori a cui, di rientro dal Libano, Giorgia Meloni attinge pienamente, preferendo tacere. Eppure per tutto il giorno le opposizioni provano a incalzarla.
Ilaria Salis, domiciliari negati: catene e manette in aula, la rabbia del padre: «La tirerò fuori»
«Ilaria Salis resterà in carcere a Budapest, i giudici ungheresi hanno deciso di negarle gli arresti domiciliari.
LA SITUAZIONE
La situazione in pratica si è fatta complicata per la premier. In primis perché non può districarla personalmente come le viene chiesto. «Questa è una vicenda processuale – spiega il capogruppo di FdI al Senato Lucio Malan - Una questione è l’andamento del processo, che non può che essere portato avanti se non da quel tribunale. Un’altra è il trattamento dell’imputata che a noi non piace» e «il governo si è mosso per ottenerne uno nel rispetto dei diritti umani».
L’Italia infatti non può tentare di ingerire nel sistema giudiziario magiaro anche perché il quasi-amico di Meloni Viktor Orbàn vive una situazione politica uguale e opposta a quella della premier. Il leader di Fidesz è infatti ugualmente in imbarazzo perché, in vista delle elezioni, non può cedere troppo terreno al Mi Hazánk Mozgalom, movimento estremista che si propone di scavalcare a destra il primo ministro ungherese. Per Meloni però il caso Salis è particolarmente scottante. Non tanto per la maestra di per sé, quanto perché sin dal suo arrivo a palazzo Chigi ha impostato la barra diplomatica verso la capacità italiana di dialogare efficacemente con tutti.
Dopo i successi con Al Sisi in Egitto per la liberazione di Patrick Zaki o con i tre italiani ostaggi in Mali, così come quelli legati al dialogo con regimi non considerati del tutto democratici, secondo i suoi colonnelli la premier non è a proprio agio con la situazione attuale. Il profilo basso scelto ieri, lasciando che fosse la Farnesina a dettare la linea, non è casuale. Per di più perché tutti i consiglieri e gli esperti consultati dal governo, hanno chiarito che il pressing mediatico difficilmente avrebbe smosso la corte ungherese. Anzi. «Certe cose vanno fatte in silenzio» è il ragionamento che la premier avrebbe affidato ai fedelissimi già quando il caso Salis monopolizzò l’attenzione mediatica a febbraio scorso. Un po’ come, spiega una fonte diplomatica, l’Italia ha da poco rimpatriato - nel silenzio più assoluto - tre cittadini del Belpaese detenuti in Tunisia, sottoponendoli poi agli arresti domiciliari. Una via, questa, che però oggi al governo pare impercorribile. «Ci vorranno mesi» confida un ministro. A meno che, qualora il Pd decidesse di candidarla realmente a Strasburgo, poi l’Ungheria non lasci la Salis andare. «Ma è uno scenario che rischia di complicare ancora le cose».