Summer School di Libera Già
«Certe luci non puoi spegnerle»

di Umberto Di Maggio *
Lunedì 17 Ottobre 2016, 21:31
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Si è conclusa da qualche giorno la quarta edizione della Summer School di Libera Già. Appuntamento che ogni anno viene organizzato presso il Castello Mediceo di Ottaviano. In prima battuta i ringraziamenti a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento: l’Università di Salerno, che dà contenuto scientifico all’iniziativa; il Parco Nazionale del Vesuvio, che la ospita e mette a disposizione risorse e strutture ed infine, ma non per ultima, la Fondazione Polis, che offre supporto tecnico e di contenuti a tutto l’impianto formativo, quest’anno rappresentata alla scuola dal suo Vicepresidente, don Tonino Palmese, e dal Presidente del Comitato Scientifico, Geppino Fiorenza.

Ma veniamo a noi!

Prendi venti guaglioni. Venti giovani tra studenti, ricercatori e universitari campani. Lasciali cantare dentro un bene confiscato alla camorra ad Ottaviano, pochi chilometri ed Est di Napoli, «non saremo delle star, ma siam noi, con questi giorni fatti di ore andate per un un futuro che non c’è». E lasciali urlare, urlare ed urlare contro il cielo che «non si può sempre perdere [e che] certe luci non puoi spegnerle».

Lasciali cantare (sottovoce però che è già notte fonda), perché anche il silenzio può esser complice. Ne hanno tutto il diritto. Loro che abitano le fratture, le croste, le ferite di una terra che gronda bellezza ed insieme ingiustizia, luce ed insieme lutto.

Ne hanno il diritto – ed anche il dovere – perché quei giovani credono nella proposta, prima che nella protesta. Sono quelli che s’impegnano senza pretendere che le cose cambino per delega in bianco all’imbonitore di turno. E che investono, soprattutto, sulla cultura, sulsapere partigiano. Quello che vuole cambiare, oltre la teoria, concretamente i modelli di sviluppo dove mafie e corruzione sguazzano gioviali. E che prende parte, sceglie. E che rischia, quindi.

Ed ecco che, finalmente, ci si libera della retorica stanca dell’innovazione(come di tanti altri concetti del resto) che vorrebbe relegarla a concetto feticcio, da sbandierare, brandire, usare alla bisogna. Innova qui, innova là. E poi in pratica?

No no, non funziona così, almeno per i percorsi costruiti con e dentro Libera. Innovare è sentirsi le ferite addosso e lavorare, concretamente, per liberare la felicità. Punto.

Lo sanno bene i guaglioni e le guaglione di GIA’, GiovanInnovAzioni Campania dedicata a Mimmo Beneventano e Pasquale Cappuccio, due vittime innocenti di camorra. Non dimenticano le radici e le origini. Sanno che innovare è cambiare le pratiche, migliorare le politiche per gli ultimi, allungare lo sguardo ed investire, costi quel che costi, sui beni confiscati e sui processi di loro riutilizzo sociale. Risorse, hanno detto durante la settimana di ricerca_azione, che “hanno valore strategico perché rappresentano luoghi e occasioni per costruire relazioni, promuovere processi di condivisione, cooperazione e partecipazione: tutti elementi decisivi dentro una nuova logica di economia solidale”.

Nel documento conclusivo della Summer School regionale c’è scritto: «Abbiamo immaginato l’innovazione come ritrovamento di alcuni modi di stare insieme antichi: la pratica del mutualismo, dello scambio e della collaborazione, il processo di condivisione sono pratiche generative capaci di mettere in campo il cambiamento dentro contesti sfidanti. Dentro questi contesti si apre il campo della sperimentazione».

Dunque, forse, basterebbe poco per innovare ed innovarsi. Urlare contro il cielo potrebbe essere il primo passo, con il sorriso e senza mai perdere la tenerezza, però.

* Responsabile Nazionale Summer School GIA’ di Libera
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