Omertà. Realtà o apparenza?
Condivisione o paura?

Omertà. Realtà o apparenza? Condivisione o paura?
di Simona Melorio
Lunedì 27 Giugno 2016, 10:59
5 Minuti di Lettura
Parlare di mafie significa spesso parlare di stereotipi.

Le popolazioni del sud dell’Italia, a causa di particolari caratteristiche, per ragioni genetiche o per derive sociali, sono state ritenute per lungo tempo fatalmente mafiose. La contrapposizione tra il “noi” e il “loro” ha avuto un grande seguito nell’opinione pubblica che ha imparato a leggere le mafie come perversioni di certi ambienti lontani, degenerazioni di alcune genìe distanti, crimini di gruppi etnici, isolati e circoscritti. Ma queste credenze entrano oggettivamente in cortocircuito con le notizie di cronaca degli ultimi vent’anni (almeno) che fanno registrare la presenza delle mafie ben lontano dalle regioni di tradizionale provenienza, sottolineandone la diffusione nel nord dell’Italia e anche all’estero. La permeabilità di società che si ritenevano non mafiose pone sul piatto il problema dell’interpretazione delle mafie. Crolla il castello argomentativo che per anni ha avuto la meglio e si comincia a guardare una realtà prima ignorata, provando a spiegarla senza pregiudizi, studiandola, per comprenderla a fondo.

Molti stereotipi cadono, il “delirio etnico-mafioso” cade: non è più possibile collegare le mafie alle caratteristiche delle popolazioni meridionali. Ciò appare intuitivo, oltre che evidente, ma è anche scientificamente verificabile. Basti pensare all’omertà, da tempo ritenuta causa principale delle mafie, “silenzio colpevole e connivente di popolazioni corrotte”. Le mafie sarebbero prosperate laddove nessuno sia stato disposto a denunciarle, ovvero, in quelle realtà in cui i disvalori delle stesse erano di fatto condivisi dal resto della gente non immediatamente criminale. Ma queste, oggi se ne ha la consapevolezza, sono solo dicerie, credenze supponenti e senza alcun fondamento scientifico. Studi seri lo dimostrano.

Si pensi alla ricerca di Giorgio Chinnici, fratello del più noto Rocco, vittima della mafia siciliana, che, nel 1983, traduce in termini quantitativi il concetto di omertà come “grado di difficoltà determinato dall’ambiente per le forze dell’ordine nel venire a conoscenza di fatti delittuosi”. Come “indicatore di omertà” prende in considerazione le percentuali di autori noti di reato, rilevando che, tra il 1971 e il 1975, in Sicilia le forze dell’ordine hanno individuato percentuali di autori scoperti maggiori rispetto all’intero territorio nazionale.

Non c’è, dunque, maggiore difficoltà delle forze dell’ordine a perseguire i rei al sud rispetto che al nord.
Questi dati sono confermati anche dalle indagini Istat degli ultimi anni. Nel 2010, ad esempio, a fronte di una media italiana di autori di reato scoperti del 18,6%, gli autori scoperti al sud sono il 22,7% contro il 16,7 al nord. E i dati più recenti confermano questa tendenza. L’omertà parrebbe essere, allora, una modalità di azione dei clan nel loro interno o, se usata all’esterno di essi, una scelta di pochi motivata dalla paura di ritorsioni.

E proprio da questo studio prende le mosse la ricerca organizzata dal Centro ReS Incorrupta, nuova struttura dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, sorta nel gennaio di quest’anno, con lo scopo di studiare fenomeni criminali come la camorra, e impegnato nella ricerca “Napoli e l’omertà”, finanziato dalla Fondazione Polis. Un gruppo di lavoro che vede la presenza di varie professionalità con diversi compiti che mirano, ad una sola voce, a verificare empiricamente quanto l’omertà oggi risulti diffusa a Napoli e, soprattutto, cosa essa sia.

Una prima parte dello studio ha l’obiettivo di considerare i più recenti dati Istat a proposito degli autori noti di reato, ovvero di coloro che sono stati scoperti dalle forze dell’ordine. Registrare quanto esse riescano di fatto ad identificare un soggetto come responsabile di un reato risulta un elemento estremamente indicativo della collaborazione delle persone al farsi della giustizia. Se in zone di mafia si riesce a scoprire autori di reato come e più che in altre realtà, ciò può voler dire che l'omertà, se anche c’è, non paralizza completamente la società civile che, invece, testimonia e denuncia.

Una seconda parte della ricerca intende indagare sul campo, attraverso interviste, per comprendere se i dati Istat sulla presenza di omertà sono confermati, quale sia la percezione della omertà nei napoletani e, soprattutto, che cosa è realmente l’omertà.

L’omertà è davvero condivisione dei “valori” mafiosi, così come per anni abbiamo sentito? È silenzio partecipe di una criminalità per così dire etnica o forse è paura?

Probabilmente ha ragione Isaia Sales, segretario scientifico di ReS Incorrupta, quando afferma che il silenzio nasce dalla valutazione razionale di costi e benefici. Gruppi criminali, stabili e consolidati sui territori, come le mafie, sono temibili molto più di singoli delinquenti. Anche laddove si denunci un individuo, infatti, anche laddove si riesca, rivolgendosi alle forze dell’ordine, a far finire in carcere qualche uomo di Gomorra, o’Sistema resta lì, temibile, a prescindere dalle sorti del singolo affiliato. Il cittadino del sud, che ogni giorno fa i conti con la presenza delle mafie sul territorio in cui vive, considera un rischio per la propria stessa incolumità contrapporsi ad essa, perché teme di dover rispondere di tale suo comportamento al clan, alla famiglia, alla ‘ndrina del posto. Proprio tale paura potrebbe essere la ragione della non collaborazione con le forze dell’ordine, quando si tratta di “consegnare” un mafioso.

C’è omertà a Napoli? Quanta ce n’è? È più reale o più apparente? E quando c’è, perché c’è?

La ricerca vuole andare a fondo del problema, vuole, senza pregiudizi, vederci chiaro sul tanto citato silenzio dei cittadini napoletani e capire, innanzitutto, se è reale ed, eventualmente, da cosa possa essere motivato. ReS e Polis aspirano, cioè, a riempire di significati veri una parola finora abusata e malamente utilizzata, nella volontà di studiare il fenomeno della camorra napoletana, perché bisogna conoscere a fondo il nemico se lo si vuole davvero combattere. 
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