Il martirio di don Peppino Diana
ucciso per amore del suo popolo

Il martirio di don Peppino Diana ucciso per amore del suo popolo
di Don Tonino Palmese
Lunedì 19 Marzo 2018, 08:00
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«Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore». Queste parole furono pronunciate da Papa Francesco pochi giorni dopo la sua elezione, durante la messa celebrata con i cardinali nella Cappella Sistina. Parole che il nostro Papa potrebbe adattare per descrivere il senso della vita e della morte di don Peppe Diana.

Don Peppe conobbe la croce dell’inciviltà che alimenta la camorra nelle nostre terre, la croce dell’indifferenza dei tanti, la croce della dittatura ideologica dell’avere, dell’apparire e del prevaricare. Sotto queste croci ha resistito affidandosi a Dio con tutte le sue forze, invertendo così la logica di una croce da strumento di morte a motivo di salvezza nella misura in cui la si abbraccia insieme fino ad annullare la sua dimensione violenta.

Le parole del Papa sono necessarie non solo per comprendere il credo di un bravo prete, ma soprattutto per capire la sua vita, spesa interamente per smascherare la “legalità” di Pilato e rendere accessibile e perciò salvifica la Verità che è la Persona di Gesù. Ancora oggi Pilato si aggira tra di noi, soprattutto quando attraverso il formalismo e la burocrazia delle leggi (cosa ben diversa dalla legge) si rallenta il progresso, il bene comune e la pace della gente. La Verità per il credente e prete don Peppe Diana è stata e continua ad essere una Persona da conoscere, seguire e amare: Gesù Cristo. Quanto più la misura del nostro essere e del nostro agire si avvicina alla Sua, tanto più si è nella Verità. Don Peppe Diana somigliava a Gesù, perciò era libero. Sì, libero di amare, di vivere e di servire, soprattutto i più poveri e i giovani. In una terra dove la sudditanza ha preso il sopravvento, la libertà, la parresia (parlar chiaro) e l’agire onesto di un uomo come il nostro prete di Casale diventa un elemento scomodo e perciò da eliminare prima con le pallottole, poi con la calunnia e infine con l’oblio. Se poi si aggiunge la “tiepidezza” della sua comunità (civile ed ecclesiale), ecco che si rischia di vanificare il dono che don Peppe fa della sua vita. Diceva don Puglisi: «Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti».

Ebbene, tornando alle parole di Papa Francesco, sento di “girarle” alla memoria di Don Giuseppe Diana, martire perché anche lui come don Puglisi è stato ucciso “in odium fidei”. Sì, in odio verso la fede, quella fede non solo confessata con le parole ma testimoniata da “Peppino” come un uomo che sperimenta che più che essere credenti è importante sperimentare quanto sia bello l’essere creduti da Dio e, perché no, anche dalla propria gente.

Tutta qui la mia testimonianza di fede riguardo il credente e prete don Giuseppe Diana, ucciso dalla camorra per “amore del suo popolo”.
 
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