Le nuove disposizioni in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato

Martedì 19 Aprile 2016, 20:06
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La riscoperta della vittima di reato è la scaturigine ultima di un graduale percorso che ha riconosciuto al soggetto processuale una protezione penale dal diritto comunitario. L’acquis comunitario, sensibile alla vittima, è stato trasposto nella Decisione quadro 2001/220/GAI, poi sostituita dalla Direttiva 2012/29/UE. Sebbene nel recentissimo passato si fossero susseguite disposizioni sovranazionali e comunitarie che, in un modo o nell’altro, avevano riguardato l’offeso del reato, la Direttiva 2012/29/UE ha avuto il merito di restituire organicità alla materia di cui si discorre. Il nostro ordinamento ha colto inevitabilmente questa ondata innovativa ed ha, coerentemente alle indicazioni comunitarie, ampliato il ventaglio di garanzie delle persona offesa vittima di reato, affiancandole alle disposizioni già esistenti nei nostri codici.

Il Legislatore nazionale ha recepito la Direttiva Europea nel D.Lgs. n°. 212/2015: il risultato che ne fuoriesce é la modifica di otto articoli del codice di rito penale (artt. 90, 134, 190 bis, 351, 362, 392, 398 e 498 cpp.), la creazione di quattro nuovi articoli codicistici (artt. 90 bis, 90 ter, 90 quater, 143 bis cpp.) e due norme di attuazione (artt. 107 ter e 108 ter disp. att. cpp.). Tra gli interventi maggiormente degni di nota si evidenziano una serie di indicazioni che riguardano il diritto all’informazione. L’aver esteso anche alla vittima di reato alcune delle disposizioni tradizionalmente riferite a categorie particolari di soggetti, si pensi ai portatori di handicap, significa aver colto a pieno quello che era lo spirito comunitario; ed invero, la previsione di un vero e proprio diritto ad essere informati, tanto nelle fasi dibattimentali del processo quanto in quelle delle indagini è sintomatico di questa inversione di rotta. In tale direzione vanno letti gli avvisi tempestivi garantiti alla vittima sia nelle fasi essenziali del procedimento penale sia dell’eventuale vicenda cautelare, avvisi che accrescono il diritto della persona offesa del reato a partecipare al processo penale in piena coscienza. Sul punto il decreto prevede che, nei processi relativi ai reati con violenza alla persona, la persona offesa che lo richieda venga informata dell’avvenuta scarcerazione o della cessazione delle misure restrittive applicate all'autore del reato. Ed ancora, in tema di comunicazioni, vi è poi la previsione per cui la vittima del reato sia posta a conoscenza della possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela.

Nella stessa direzione va la previsione che la persona offesa deve essere informata circa gli eventuali strumenti di giustizia riparativa o i servizi assistenziali di carattere sociale. Tuttavia, gli obiettivi fissati a livello comunitario, vale a dire un ampio diritto all’assistenza e alla protezione, sembrano cedere il posto alle modifiche meramente procedimentali varate dal Legislatore nazionale. Trattasi infatti, queste ultime, di previsioni che esulano da quelli che erano gli obiettivi sanciti a livello comunitario. La Direttiva, invero, presuppone l’obiettivo di assistere la vittima, predisponendo in tale ottica la costituzione di servizi di aiuto alla vittima che il nostro ordinamento invece disconosce totalmente, come nel caso degli sportelli per la vittima presso i tribunali o, quanto meno, subordina alla espressa attivazione della persona offesa. I servizi di informazioni per la vittima di reato, concepiti nell’accezione comunitaria maggiormente garantista, vengono toccati dal legislatore nazionale ma non centrati in pieno. Scorrendo le pagine del decreto legislativo, tra gli interventi interessanti si evidenziano la perizia disposta in caso di dubbio sulla minore o maggiore età della vittima e la presunzione di minor età ove il dubbio permanga; la facoltà di esercitare i diritti della persona offesa deceduta anche per il convivente legato da relazione affettiva, pur in assenza di matrimonio. Accanto agli strumenti di informazione, il decreto interviene ad assicurare più ampie tutele alla vittima cui è riconosciuto un particolare stato di vulnerabilità. Lo status di vulnerabilità, secondo quanto prescritto dalla Direttiva comunitaria, deve essere accertato senza il meccanico ricorso a presunzioni. Il Decreto attuativo nazionale, coglie lo status di vulnerabilità e lo fa proprio, tuttavia lo inquadra da una prospettiva che si pone quasi in antitesi rispetto alla linea guida sovranazionale. Ai sensi dell’art. 90-quater, infatti, la condizione di "particolare vulnerabilità" è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica “dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede, e si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato”.

L’idea di fondo della Direttiva, che presuppone uno status di vittima scollegato da determinate qualità personali o dal tipo di reato subito, viene totalmente sconfessata dal nostro Legislatore. Quest’ultimo, in materia di accertamento della vulnerabilità, detta disposizioni basate su valutazioni aprioristiche e standard pre-individuati, che bypassano quell’accertamento ad hoc e quella valutazione intrinseca al caso di specie ampiamente declamati dalla Direttiva. Il rischio che ne consegue é di precludere la protezione a quelle vittime che non rientrano nel catalogo dell’art. 90 quater cpp. Questa discrasia ha un notevole peso sul procedimento penale, considerato che la valutazione e l’accertamento dello stato di vulnerabilità incidono sul piano processuale: sono irripetibili le dichiarazioni della persona offesa vulnerabile che sia stata sentita in incidente probatorio o in dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni stesse saranno utilizzate; la p.g. può avvalersi di un esperto nominato dal p.m. per sentire a sommarie informazioni la p.o. ed assicurarsi che non abbia contatti con l’accusato; il p.m. o l’accusato possono chiedere – anche su richiesta della vittima vulnerabile – che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza dell’offeso; il giudice, su istanza della p.o. vulnerabile o del suo difensore, dispone l’adozione di modalità protette. Il decreto modifica poi la disciplina dell’incidente probatorio e della prova testimoniale, disponendo l’applicazione delle specifiche tutele nei casi in cui si proceda all’esame di una vittima vulnerabile.

A corollario di un decreto che solo a tratti recepisce le indicazioni della direttiva, il legislatore non ha disposto l’obbligatorietà della video ripresa delle dichiarazioni della vittima vulnerabile al di fuori delle ipotesi di assoluta indispensabilità e non ha ritenuto di prevedere il c.d. sportello delle vittime presso i tribunali, previsioni queste ultime, tutte contenute nella Direttiva comunitaria di riferimento. L’adeguamento della normativa nazionale alle prescrizioni europee, intervenuta peraltro un mese dopo la scadenza fissata, evidenzia invero, un certo travaglio nel passaggio ad una tutela generale e onnicomprensiva della vittima del reato. C’è da dire, però, che al di là delle possibili contraddizioni in seno al Decreto o alle occasioni mancate, la sua entrata in vigore segna certamente un importante passo avanti nel sistema delle tutele poste in essere dall’ordinamento processuale in favore delle vittime vulnerabili. L’auspicio è che allo stesso segua un’attività capillare di formazione degli operatori di giustizia, a partire dalla polizia giudiziaria, sia una serie di servizi socio-assistenziali che dovranno inevitabilmente coinvolgere le sinergie tra Stato e Regioni.

Domenico Ciruzzi 
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