«Che fine fanno i ragazzi di camorra?», ecco la risposta di Solino

«Che fine fanno i ragazzi di camorra?», ecco la risposta di Solino
di Geppino Fiorenza *
Lunedì 19 Febbraio 2018, 08:00
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D’estrema attualità ed interesse l’ultimo libro pubblicato da Gianni Solino, referente provinciale di Libera Caserta, per i tipi delle edizioni La Meridiana. S’affaccia sul “Cratere” per interrogarsi ed interrogarci su «che fine fanno i ragazzi di camorra?» Ne abbiamo parlato qualche giorno fa nella sede della Fondazione Polis con Don Tonino Palmese, Fabio Giuliani, referente regionale di Libera, e Gianluca Guida, Direttore dell’Istituto Penale minorile di Nisida. Acuta e raffinata come sempre l’analisi di Isaia Sales, saggista, docente del Suor Orsola Benincasa e componente del Comitato scientifico della stessa Fondazione, che ho l’onore di presiedere, nell’introduzione al volume. Il “Cratere” è costituito da quella cerchia di Comuni, come Casal di Principe, Casapesenna e San Cipriano d’Aversa, luoghi d’elezione dell’antico potere del clan dei casalesi e terreno privilegiato dello scontro tra Camorra e Stato, dove questo ha saputo riportare decisive vittorie, sgominando quella criminalità organizzata di tipo mafioso, ma che deve ancora ben consolidare la ripresa del controllo del territorio e garantire possibilità di sviluppo futuro. I ragazzi di camorra non sono solo i giovani irretiti nelle maglie di quella criminalità, ma forse più in generale tutti quelli che si sono piegati a quella egemonia ed hanno oggi da rivendicare un futuro diverso.

Metafora antica ma sempre valida della realtà dei luoghi la vicenda che proprio Isaia Sales ripropone, dopo averla raccontata nella “Storia dell’Italia mafiosa”. Il maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Anceschi viene inviato in Terra di Lavoro, negli anni tra il 1926 e ‘27 da un regime fascista desideroso di dare un colpo decisivo alla criminalità, per sconfiggere i “Mazzoni”, autentici precursori del clan dei casalesi. Grandi successi militari sul campo. Alla fine del suo mandato il maresciallo scrive al Presidente del Consiglio dell’epoca, Benito Mussolini, più o meno così: “Ho finito il mio compito, ma è certo che se queste terre rimarranno nelle condizioni in cui sono, senza fogne, senza scuole, senza assistenza per i cittadini, quel fenomeno malavitoso prima o poi si riprodurrà”. Ed ecco l’allarme di chi ha assistito alle importanti vittorie dello Stato di oggi, di chi ha combattuto e partecipato in prima persona al tentativo di rinascita di quei territori, alla “riappropriazione” di quei beni confiscati alle mafie e giustamente definiti “liberati”, che vedono la nascita di una nuova economia sociale, con tante cooperative che gestiscono immobili per finalità sociali o vivono del lavoro di cooperative sui terreni che, per contrappasso, danno vita ad un Nuovo Consorzio Organizzato.

Non basta la vittoria militare dello Stato. C’è bisogno della vicinanza dello Stato, di investimenti sociali e culturali di lunga durata, per sradicare definitivamente una mentalità di soggezione e ridare fiducia alle giovani generazioni in una prospettiva di sviluppo e rinnovamento. Renato Natale è tornato Sindaco a Casal di Principe, dopo esserlo stato drammaticamente negli anni in cui fu ucciso Don Peppe Diana, sull’onda di una volontà di rinnovamento e di riscatto. Grandi iniziative sociali; grandi e luminose aperture al mondo, come la Mostra degli Uffizi in Casa Don Diana. Ma lui e quelle popolazioni hanno bisogno di sentire la vicinanza concreta dello Stato, di superare tanti lacci e lacciuoli che ritardano un grande necessario rilancio e rallentano la volontà di futuro. Gianni Solino, con grande acume, analizza le tante difficoltà e contraddizioni; parla dei diritti negati ai familiari delle vittime; racconta degli assurdi ritardi sulla questione dei testimoni di giustizia, portando ad esempio le traversie di una persona del valore di Augusto Di Meo, testimone dell’uccisione di Don Peppe, che con coraggio fece individuare i responsabili del brutale ed esecrando assassinio. Racconta della necessità di valorizzare l’uso dei beni confiscati, con l’impegno a nutrirli di vivida progettazione sociale, senza la quale ha poco senso la sola ristrutturazione e cambio di destinazione. S’interroga sull’utilità dello scioglimento dei Consigli Comunali se non si addiviene ad una radicale trasformazione della macchina amministrativa. Altrimenti il cambio di facciata risulta solo apparente ed artificioso se non dannoso, in alcuni casi, quando non cambia radicalmente la prospettiva di funzionamento. Ed avanza, alla fine, una proposta apparentemente semplice e geniale, che riscuote l’approvazione di tanti, a partire dall’ex Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, intervenuto ad una prima presentazione del volume. «Ma perché non impiegare per il rinnovamento e la rinascita di quei territori martoriati – s’interroga – almeno tante risorse di pari entità di quelle che sono state necessarie per finanziare l’intervento militare vincente dello Stato?» Ma, osserverebbe Bertolt Brecht, «è la cosa semplice difficile a farsi».

Certo l’impegno non manca e non mancherà. Il nostro compito è quello di essere affianco a cittadini ed istituzioni rifondate che lavorano per il cambiamento e con Gianni Solino e tutti i suoi compagni di strada tenere i riflettori sempre accesi.

* Presidente Comitato Scientifico Fondazione Polis
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