Strage di Capaci/ Mattarella, Falcone e la verità su Piersanti

Mattarella con Giovanni Falcone
Mattarella con Giovanni Falcone
di Paolo Cacace
Lunedì 22 Maggio 2017, 00:00 - Ultimo agg. 19:25
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Chi conosce Sergio Mattarella sa bene che per sua natura egli non è attratto dalle cerimonie meramente celebrative. Questo vale soprattutto quando il personaggio da ricordare si chiama Giovanni Falcone, un «eroe nella lotta contro le mafie» certo, ma non un’icona da mitizzare quanto piuttosto un esempio concreto di virtù civile e di comportamento soprattutto per le giovani generazioni, punto di riferimento per tutti coloro che credono nella legalità e nella giustizia e non vogliono arrendersi ai soprusi della criminalità organizzata.

Ma - al di là delle cerimonie pubbliche - quali furono realmente i rapporti, i legami, tra l’attuale Capo dello Stato e Giovanni Falcone? Per cercare una risposta bisogna andare indietro negli anni tra le pieghe di eventi che segnarono profondamente la vita di Sergio Mattarella e dei suoi familiari. 

MAFIA ED EVERSIONE NERA
Si deve risalire, infatti, a quella mattina del 6 gennaio 1980 a via della Libertà di Palermo, quando il presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, fratello maggiore di Sergio, sta per recarsi alla messa domenicale insieme alla moglie Irma a bordo della sua Fiat 132. Viene assassinato a sangue freddo da un killer che fugge a gran velocità insieme a un complice. Delle indagini si occuperà prima l’allora sostituto procuratore Piero Grasso e poi dopo qualche tempo un giudice istruttore, che è proprio Giovanni Falcone; il quale raccoglie, in varie occasioni, proprio la testimonianza preziosa di Sergio, che non solo era stato il primo a soccorrere il fratello morente, ma che - pur svolgendo allora attività universitaria - era in stretto contatto con Piersanti e conosceva bene i progetti politici dell’esponente dc che sognava «una Sicilia con le carte in regole».

Ebbene se era evidente la pista mafiosa per i mandanti dell’omicidio restava avvolto nel buio il volto dei killer. Falcone indirizzò subito le indagini sulla «pista nera» per gli esecutori materiali del delitto e attraverso varie fasi puntò il dito contro i neofascisti Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, già autori di numerosi attentati. L’ipotesi di Falcone era avvalorata anche dalla testimonianza di Irma Chiazzese, la vedova di Piersanti, sorella di Marisa, consorte di Sergio (prematuramente scomparsa nel 2012) che aveva riconosciuto in Giusva Fioravanti l’uomo che si era avvicinato al finestrino dell’auto e aveva fatto fuoco.

Anche il fratello di Giusva, Cristiano, aveva confermato (almeno in un primo momento) questa ricostruzione dei fatti. E nel 1986, Falcone - insieme a Paolo Borsellino - chiede l’arresto dei due presunti killer dei Nar, quali esecutori dell’assassinio per conto di Cosa nostra. La famiglia Mattarella si costituisce parte civile ed è rappresentata dall’avvocato Francesco Crescimanno, anch’egli da sempre convinto del ruolo dei due neo-fascisti nell’omicidio. La convinzione di Falcone aumenta quando nel 1989 i terroristi collocano cinquantasei candelotti di dinamite davanti alla sua villa all’Addaura. Si sospettano legami tra i «neri» e la banda della Magliana. Fioravanti e Cavallini vengono rinviati a giudizio per il delitto Mattarella, processati e poi assolti. I mandanti vengono individuati nei componenti della Cupola mafiosa che voleva liberarsi di un personaggio scomodo. Provenzano, Riina, ecc. saranno condannati all’ergastolo nel 1995. Ma la mano omicida resta misteriosa.

Ancora oggi, il ricordo di quella tragedia provoca un dolore acuto. Anche per questo Sergio Mattarella evita di parlarne in pubblico. «Non ne ho mai parlato - confidò marzo del 2015 alla giornalista Christiane Amanpour della Cnn - lui era sulla sua auto, stava andando a messa con sua moglie e i figli. Si è avvicinato un killer che l’ha colpito. Io sono stato subito chiamato da uno dei miei nipoti,sono sceso subito in strada e l’ho portato al pronto soccorso. Ma era già morto». Nessuna parola, ma doveroso riserbo, sulle indagini compiute a suo tempo da Falcone e poi dai suoi successori. Ma anche per il Capo dello Stato - c’è da esserne certi - dopo trentasette anni quegli interrogativi sulle ombre che avvolgono gli assassini del fratello pesano ancora come macigni. Con la speranza che finalmente sia fatta piena luce.
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