Sisma in Irpinia, sprechi
​e ritardi lunghi 37 anni

di G​eneroso Picone
Giovedì 23 Marzo 2017, 23:52
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Puntuale come il Festival di Sanremo e noioso come il closing del Milan, ogni anno al momento dell’esame del cosiddetto decreto Milleproroghe spunta l’emendamento che con foga parlamentare d’occasione e posticcia indignazione civile grida allo scandalo per l’infinita storia della ricostruzione dell’Irpinia. A distanza di 37 anni dal terremoto del 23 novembre 1980 sarebbe anche giusto, opportuno e doveroso metterci un punto, smantellando quella gabbia simbolica che ha prodotto i materiali fondanti del pregiudizio antimeridionale che alimenta ormai tanta e depressa parte del discorso pubblico nazionale. Spezzare la linea circolare dell’eterno ritorno all’eguale, superare la barriera che i filosofi definiscono del regresso all’infinito - l’operazione logica che rimanda la conclusione del discorso a termini sempre ulteriori, universali e maggiori, quindi irraggiungibili - costituirebbe una salutare operazione di giustizia sociale, soprattutto nei confronto di coloro i quali davvero hanno subìto il terremoto e le sue tragiche conseguenze, e di ecologia politica. Invece no, il teatrino rimette in scena la stessa identica rappresentazione che ormai ha assunto le caratteristiche del paradigma dell’Italia di oggi, di ieri e dell’altroieri.

Insomma, quest’emergenza c’è ancora? Da dopo terremoto fortunatamente non più, magari da altro. Fatto sta che a ogni finanziaria ormai da decenni compare un capitolo dove si prevede di completare l’opera di ricostruzione, pubblica e privata. Costata, secondo la relazione del 1991 della commissione guidata da Oscar Luigi Scalfaro, per 50.620 miliardi di lire, in un ambito che la legge 219 aveva disegnato dal basso Lazio a Matera. Un po’ troppo. Salvo poi, con modifiche in corso d’opera, variazioni di bilancio e sistemazioni di conti dettate da altre e più attuali urgenze, cancellare il dispositivo. È tutto nella sottile linea - più bizantina che all’Ambrogio Lorenzettti dell’allegoria del Buon Governo - che separa lo stanziamento dall’erogazione: dal 2002, per esempio, dei 300 milioni di euro stanziati per ultimare la ricostruzione in Campania non ne è stato erogato niente. Fondi bloccati, sindaci spazientiti, progetti approvati e messi da parte, precarietà su precarietà in un clima rotto a ogni decreto Milleproroghe dove compariva il bel proposito di porre fine alla litania con il leghista di turno a urlare agli sprechi. Facendo correre il rischio di buttare con l’ipotetica acqua sporca anche l’innocente bambino: in questo caso, il piano per realizzare la strada Lioni-Grottaminarda, 430 milioni e cantieri aperti, grazie al commissario Filippo D’Ambrosio che è un valente funzionario dello Stato sul cui curriculum sarà riportato a onta di essere stato anche il commissario per la ricostruzione delle aree terremotate del 23 novembre 1980.

Alla Camera, ieri, idem, nel momento in cui si è discusso il decreto terremoto del centro Italia e i 5 Stelle hanno provato ad emendarlo per cancellare la struttura commissariale già inserita a inizio mese nel Milleproroghe. Ma nel frattempo, a settembre, la Regione Campania ha messo su un gruppo di lavoro di sindaci, tra loro anche Rosanna Repole, prima cittadina di Sant’Angelo dei Lombardi che per la prima volta indossò la fascia tricolore il 24 novembre 1980 e che qualcosa, quindi, deve capirne: 40 dei 120 milioni in quota regionale sono arrivati finamente nelle casse dei Comuni. Si potrà contribuire a chiudere l’impresa, una volta per tutte. Resterà l’amarezza di tanti e di Filippo D’Ambrosio per primo: in anni di lavoro da responsabile della realizzazione della Lioni-Grottaminarda nessuno si è preso la briga di leggere le relazioni che lui precisamente compilava per il Parlamento. In fondo, interessava altro
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