Se la manovra si scontra con la realtà

di Serena Sileoni
Mercoledì 10 Ottobre 2018, 22:40
3 Minuti di Lettura
Uno degli elementi di forza che uniscono Lega e Movimento 5 Stelle è senz’altro il senso della sfida. Tra revanchismo, echi di rivolta delle masse e utopie democratiche sono stati eletti per sfidare l’Europa e i paesi europei, le lasse élite d’Italia e le sue istituzioni. Persino Mattarella volevano far credere che avrebbero messo in stato d’accusa, mentre esercitava le sue prerogative presidenziali.
Al governo, continuano a mostrarsi nell’atto di sfidare veri o presunti nemici: quei poteri forti che, dalla finanza all’editoria alle istituzioni sovranazionali vengono agitati di continuo come spettri ma che sono così lontani dalle persone comuni che sorge il fondato sospetto che neppure esistano, non almeno come monolitici nemici del popolo. Sfida, il governo, la «vecchia» classe dirigente, anche quella più giovane, cambiando i nomi ai vertici degli enti di nomina governativa. Sfida i mercati, quelli reali e quelli finanziari, che hanno già perso più di 22 miliardi di capitalizzazione da quando la nota di aggiornamento del Def è stata presentata.
D’altro canto, gli stessi ministri e sottosegretari hanno parlato della manovra come di una scommessa. E cosa altro è una scommessa se non una sfida d’azzardo?
Non sorprende che due giorni fa l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), un organismo indipendente che ha il compito di svolgere analisi e verifiche sulla finanza pubblica e sul rispetto delle regole di bilancio, abbia dato pollice verso al alla nota stessa: il governo ha voluto annunciare una manovra che si discosta sensibilmente dal percorso di risanamento dei conti pubblici, ed è normale che la severità di giudizio dell’Upb sia stata superiore rispetto a quella riservata alle precedenti manovre.
Non sorprende nemmeno, però, che Tria abbia rispedito al mittente le valutazioni dell’Upb. Anzi, nella retorica contro i tecnici e la burocrazia, l’Upb, nato con la riforma costituzionale dell’equilibrio di bilancio, è forse un bersaglio ancor più facile della Banca d’Italia o degli altri organi di vigilanza e garanzia.
Ci sono sfide che vanno condotte fino in fondo, costi quel che costi: portare a casa il reddito di cittadinanza e il superamento della legge Fornero sono tra queste.
A fermarla non saranno l’Upb, né Mattarella, né i numeri a intimidire questo governo, non almeno finché l’adesione dell’elettorato sembrerà così solida.
C’è solo una cosa che può farlo: la realtà.
La domanda quindi diventa quando è che la realtà busserà alle porte.
Per quel che è dato capire dalla nota di aggiornamento al Def, le coperture alle promesse elettorali solo in parte verranno dal deficit. In parte saranno coperte da una rimodulazione della spesa, in parte devono ancora trovarsi.
Che la realtà bussi allora, tra qualche tempo, attraverso il più classico dei modi di trovare i soldi, ossia aumentare le imposte?
Nessuno vuole pagare di più di quanto paghi ora. Ma sono in molti a credere che ci sono tasse buone: quelle a carico dei presunti ricchi. Di imposte annunciate per «farli piangere», a partire dalle patrimoniali, la storia abbonda. Peccato che poi a piangere non siano solo loro, ma tutti i contribuenti.
Il precedente goerno ha aumentato sensibilmente la tassazione delle rendite finanziarie: un tributo che, a parole, sembra colpire i grandi investitori, ma che in realtà ha riguardato milioni di piccoli risparmiatori. 
Per non parlare di quella volta, nel 1992, in cui gli italiani si svegliarono con i conti correnti più leggeri dello 0,6%. Anche quella era una patrimoniale, la tipica imposta usata per perpetuare la retorica dei ricchi contro i poveri.
Speriamo di sbagliare, nel pensare che anni di questa retorica torneranno utili. Ma la strada verso la schiavitù non si costruisce in un giorno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA