Ponte Morandi, fare in fretta per evitare il ko dell'economia

Giovedì 16 Agosto 2018, 22:58
5 Minuti di Lettura
Genova, gli enti locali liguri e il governo hanno iniziato a fare i conti di che cosa significhi per l’economia italiana il tragico crollo del ponte Morandi. Dominano il dibattito le polemiche sulle responsabilità di Autostrade per l’Italia e sulla marcia indietro della prima reazione del governo, che inopinatamente ha annunciato la revoca della concessione, per poi tornare indietro una volta compreso che essa è ferreamente incardinata alle procedure delineate dagli artt. 8 e 9 della concessione stessa.

Ma la vera emergenza – per Genova, tutto il Centro Nord e l’Italia – è l’impatto economico complessivo che può essere temibilmente esercitato dal crollo di quel ponte, nevralgico per unire Ponente e Levante della Liguria ma con il porto di Genova in mezzo. 
Gli enti locali liguri si sono immediatamente attivati, e ieri hanno annunciato non sollo le prime misure necessarie per rafforzare con molti treni supplementari il collegamento tra Est e Ovest della città, e alcune linee di autobus speciali allo stesso scopo. Oltre all’impatto sulla vita dei genovesi, infatti, il problema economico fondamentale è il traffico pesante commerciale: sul ponte Morandi transitavano in media oltre 60mila veicoli al giorno, di cui oltre un terzo appunto compresi nella categoria che a diverso tonnellaggio movimenta merci. Le autorità genovesi e liguri pensano di riattivare la linea ferroviaria oggi coperta dalle macerie entro 20 giorni dallo sgombero ultimato, e hanno meritoriamente già individuato tre assi viari aperti anche al traffico pesante: il lungomare che ne può sopportare però poco, un percorso interno agli impianti retroportuali dell’Ilva, e un terzo connesso alla sopraelevata portuale. Oltre a un percorso che da nord città scenda verso i terminal a levante del crollo. Si tratta di apprezzabili soluzioni di emergenza, che abbisognano di interventi ad hoc e nuovi svincoli per essere approntati, ma difficilmente potranno reggere a volumi come quelli che transitavano per il ponte. 
Intanto, nei primissimi giorni successivi al crollo le imprese di trasporto e logistica mettono in conto che il percorso precedente da Ventimiglia si allunga di almeno un’ora e mezzo, risalendo a Nord sulla A26 e poi riscendendo sulla A7. E da Lione richiede tre ore aggiuntive almeno, se si passa per il Frejus. Per i flussi commerciali originati dal porto di Genova (che fa sistema con quello di Savona, come Autorità Portuale dell’Alto Tirreno Occidentale) sarebbe un disastro, essere sottoposto a un tale gap di competitività verso l’asse nord occidentale europeo. E lo sarà per l’intera economia italiana, se non ci si sbriga a capire che a questo punto non si può aspettare per anni ancora la Gronda, per troppi decenni rinviata grazie alle resistenze ambientaliste e poi dei Cinque Stelle. Si deve ricostruire il ponte al più presto, con tutte le garanzie progettuali e di sicurezza urbana e del manufatto necessarie, ma con una fretta indiavolata, per riallacciare l’A10 e farla tornare al più presto funzionante.
È il caso di considerare che cosa rappresenti il porto di Genova per l’economia italiana. Il nostro Paese realizza circa il 60% del suo interscambio commerciale via mare, e la percentuale sale oltre il 90% verso e dai Paesi dell’area mediterranea. Nel 2017, il traffico merci totale dei porti italiani ha superato il mezzo miliardo di tonnellate. Il sistema portuale Genova-Savona da solo ne ha intermediato 69 milioni di tonnellate, cioè il 14%. Rapportato alla quota via mare del totale dell’interscambio commerciale italiano nel 2017, pari a circa 850 miliardi di euro sommando import ed export, il primo ordine di grandezza che se ne deduce è che il sistema portuale Genova-Savona da solo pesa per un valore di quasi 75 miliardi annui di merci sbarcate e imbarcate. Se pensiamo al solo traffico di container misurato in Teu, l’unità di misura standard equivalente a un contenitore di circa 40 metri cubi, sui 10,7 milioni di Teu movimentati nel 2017 dai porti italiani ben 2,6 milioni sono passati dal sistema Genova-Savona. Un quarto del totale nazionale, superando anche Trieste che pure intercetta nell’Alto Adriatico il più dei flussi originati dall’Asia via Suez, ma diretti verso l’Europa nordorientale. 
Nel 2016, quando il traffico commerciale a Genova fu inferiore del 8,6% al dato 2017 citato prima, Prometeia sviluppò una valutazione complessiva dell’impatto economico delle attività portuali, diretto, indiretto e indotto. La sola filiera portuale di Genova venne stimata attivasse nel complesso effetti pari a 10,9 miliardi di euro di produzione, di cui 4,6 miliardi di valore aggiunto, impiegando 54mila unità di lavoro nella sola Liguria. In termini relativi, significa che la filiera portuale di Genova era pari all’11% del valore aggiunto complessivo della Liguria, e all’8% del totale della sua occupazione. Il 61% del valore aggiunto complessivamente generato dal porto di Genova si riferiva al porto in senso stretto, il restante 39% era indotto in altri settori: immobiliare, commercio all’ingrosso, alloggio e ristorazione, noleggio e leasing, e altre tipologie di servizi alle imprese. L’impatto economico del porto di Genova era stimato per il 48% sulla sola Liguria, con un 19% esteso alla Lombardia, al Piemonte il 10%, all’Emilia Romagna il 6%, alla Toscana e al Veneto il 4%, al Lazio il 2%. A fronte delle ricordate 54mila unità di lavoro generate nel territorio ligure, i complessivi effetti a livello nazionale totalizzavano secondo Prometeia ben 122mila unità di lavoro.
Ecco perché il ponte Morandi va sostituito e riaperto al più presto. Poi servirà anche la Gronda. Come serve l’altra opera rinviata e attesa da decenni, il Terzo Valico Ferroviario di cui sono attualmente aperti i cantieri in quattro tratti su sei, e che non arriverà prima del 2022: necessario per agganciare Genova-Savona al corridoio Reno-Alpi, il più importante asse ferroviario europeo Nord-Sud su cui si movimenta il maggior volume di merci trasportato in Europa, mettendo in competizione diretta i nostri porti dell’Alto Tirreno con quelli da sempre preferiti in Nord Europa.
Va bene dunque l’accertamento delle responsabilità sul crollo del ponte, e l’avvento finalmente della necessaria trasparenza su tutto il regime delle concessioni autostradali, sin qui secretate. Ma risolvere in fretta l’asfissia che minaccia Genova è un’emergenza economica immediata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA