Perché sono sacri spazi e aule delle università

di Guido Trombetti
Venerdì 22 Marzo 2024, 23:19 - Ultimo agg. 23 Marzo, 07:00
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Ci sono prassi valide nelle università che possono stupire o apparire fuori dal tempo. Ma che costituiscono una caratteristica peculiare del mondo accademico. Una di queste è quella di non prevedere l'obbligo di possedere una laurea per accedere ad una cattedra universitaria. Sostanzialmente questa regola risponde ad un principio alto. Per insegnare all'università occorre competenza e non è “condicio sine qua non” il possesso di una certificazione burocratica. Si pensi che negli atenei italiani tra il 1947 e il 2016 dovrebbero esserci stati circa 165 professori senza laurea. Da ciò non discende che si possa svolgere una determinata professione senza laurea. Per fare un esempio si può diventare professore ordinario in facoltà di medicina, e quindi insegnare agli studenti, ma certamente non si può esercitare la professione del medico. La cosa può apparire bizzarra a chi la osservi superficialmente ma è invece una caratterizzazione significativa di che cosa debba essere una università. Un luogo che accoglie cultura e competenza al di là del possesso di un titolo di studio. Occorre comunque osservare che la cosa tradizionalmente sembra adattarsi meglio ad ambiti nei quali più difficilmente sia previsto l'esercizio di una professione. Felice Perussia psicologo dell’università di Torino fornisce un elenco di professori di prestigio privi della laurea: Philippe Daverio, storico e critico d’arte; Luciano Gallino, sociologo ed esperto di organizzazioni; Carlo Masini, economista aziendale... E aggiunge: «Ci sono infine innumerevoli testimonianze di grandi menti del nostro tempo che formalmente non risultano essersi mai laureati. Fra i tanti, Benedetto Croce, Leonardo Sciascia e Guglielmo Marconi».

Qui a Napoli, presso il corso di laurea in matematica, ha insegnato a lungo logica matematica Pantaleo Aloisio, in gioventù studente di fisica ma che non aveva conseguito la laurea. Personaggio singolare e pittoresco ma non privo di estro. La sua produzione scientifica forse non era consistente per la sua idiosincrasia a scrivere. Ma ha avuto il merito di seminare qui da noi l'interesse per la logica matematica, poi coltivata da alcuni brillanti studenti che hanno fatto carriera nell’università. Dico ciò per sottolineare che Aloisio, per altro mio buon amico, pur senza possedere una laurea, ha svolto una funzione di diffusione della conoscenza di una branca che altrimenti non avrebbe avuto qui da noi alcuno sviluppo.

Un'altra prassi, perché di prassi e non di legge si tratta, che caratterizza la vita degli atenei è quella che i loro spazi siano sostanzialmente considerati extra territoriali.

Una sorta di zona franca. La motivazione storica di ciò forse affonda nel principio della salvaguardia della libertà di insegnamento e di ricerca. O anche nell’essere gli atenei spesso di emanazione ecclesiastica. Negli spazi di un ateneo problemi e controversie vanno risolti attraverso la discussione, il dialogo, la capacità di convincimento. Le forze dell'ordine, per prassi secolare, non vi entrano se a chiamarli non è direttamente il rettore. E sono rari gli esempi di rettori che, costretti da eventi di eccezionale gravità, abbiano violato questa consuetudine. Ricordo tanti anni fa una scena che mi colpì. Uno dei custodi dell'università centrale, in corso Umberto, un vecchietto alto, magrissimo e brizzolato chiese garbatamente a due carabinieri che erano entrati nell'androne dell'università – credo per un qualche motivo personale - di togliersi il cappello. Ciò a sottolineare l’ extraterritorialità di quei luoghi nei quali essi non potevano esercitare alcuna autorità. Questa prassi mi appare di grandissima nobiltà etica e intellettuale e occorre quindi operare sempre nella direzione di non metterla in discussione. Ovviamente perché non venga mai messa in discussione occorre custodirla con molte cautele. Ed evitare che si generi una versione di essa patologica e distorta secondo la quale negli atenei si può liberamente violare la legge. Quasi che delinquere in quegli spazi non comporti sanzioni. È ovvio che se qualcuno mi ruba il portafogli o mi aggredisce o impedisce l' esercizio della mia libertà le forze dell'ordine devono poter intervenire. A tutela esattamente degli stessi valori che generano il principio dell' extraterritorialità.

In proposito ho apprezzato la chiarezza con la quale il rettore Matteo Lorito ha affermato che l’incontro con Molinari, impedito dalla intolleranza di una sparuta minoranza urlante di studenti o similari, si farà certamente. Riaffermando così che l’extraterritorialità si esercita (e si difende) garantendo il diritto alla parola. Salvo (e ci risiamo) i casi in cui si intenda fare apologia di reato.

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