Se la sveglia suona in ritardo

di Paolo Macry
Venerdì 16 Marzo 2018, 23:01
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Il vertice franco-tedesco ha commentato le elezioni italiane con un giudizio contingente che non piacerà a chi le ha vinte e con un messaggio di prospettiva che non piacerà a chi le ha perse. Il 4 marzo hanno prevalso gli «estremi», dice Macron. Ma subito dopo lo stesso Macron riconosce in modo insolitamente esplicito i limiti dell’Europa, ovvero la sottovalutazione della lunga crisi economica e sociale, in primo luogo, e poi la mancata risposta al problema delle grandi migrazioni. Un macigno nello stagno di Bruxelles, ma anche in quello italiano.
Naturalmente, gli «estremi» protesteranno la propria innocenza, accusando l’asse franco-tedesco di ingerenza negli affari italiani (in un momento molto delicato). Smaltita l’offesa, tuttavia, potranno compiacersi del fatto che da Parigi viene la conferma più autorevole di quel che loro hanno sempre proclamato a gran voce. Che cioè l’Europa ha imposto vincoli di bilancio troppo rigidi ai fragili paesi mediterranei. E che ha ignorato per anni le complesse criticità provocate dai flussi migratori. Non più tardi di tre giorni fa, proprio a Bruxelles, Salvini aveva detto le stesse cose, sia pure con i suoi toni roboanti. E i medesimi argomenti ha spesso sostenuto Di Maio, sebbene (ultimamente) con le cautele imposte dalla sua rinnovata immagine in doppiopetto. Saremo pure estremisti, diranno i due leader, ma anche l’Europa che conta ci da ragione.
Del resto, che il vento soffiasse in questa direzione lo si era capito dalle defatiganti trattative berlinesi per la formazione del nuovo governo. E, in sedicesimo, anche da certe prese di posizione italiane. Come quelle del ministro Carlo Calenda, neo-iscritto democrat e convinto della necessità di politiche economiche e sociali più coraggiose. 

Quanto agli sconfitti del 4 marzo, ai «moderati» del Pd e di Forza Italia, avranno poco da compiacersi. Certo, le parole di Macron sembrano confermare la preoccupazione europea per l’esito del voto. Maliziosamente, l’aveva già rivelato Pier Carlo Padoan («per Bruxelles l’Italia è un elemento di incertezza»), facendo infuriare il leader del M5S. Ma la soddisfazione finisce qui, e non è un granché. Per il resto, la cruda autocritica del direttorio franco-tedesco rischia di essere una sorta di chiamata in correità per quei governi che in questi anni hanno espresso le posizioni più fedelmente europeiste e che quindi hanno finito per giustificare (oltre che subìre) i rigori e le reticenze dell’Ue. E naturalmente tra questi, in prima linea, ci sono i governi italiani a guida democrat. Vera o falsa, sarà comunque questa l’accusa che verrà rivolta a Renzi, a Gentiloni, a Padoan (ma anche a Berlusconi, Tremonti, ecc.) dai leader della Lega e dei Cinque Stelle.
Intendiamoci, la sterzata che i franco-tedeschi sembrano voler dare all’Unione è di grande importanza, se alle parole seguiranno i fatti (e rapidamente, come auspica Merkel). Ma la domanda è la seguente. Siamo ancora in tempo per riportare la politica dell’Europa e dei suoi stati nazionali, Italia compresa, nei binari di una democrazia rappresentativa capace di aderire alle condizioni reali dei suoi popoli (e alla percezione che quei popoli ne hanno)? Che sia flessibile e strategica? Che sia razionale e condivisa? Siamo cioè ancora in tempo per rispondere all’umoralità profonda, alle tensioni culturali, alla mutazione valoriale delle opinioni pubbliche in modo costruttivo, efficace, efficiente, evitando di rispondere alla marea populista con un semplice diniego elitario o con strumenti politici d’antan?
Sono domande non retoriche. I tempi in politica (ma non soltanto in politica) sono imprescindibili. E quel che colpisce, nella cronologia della grande crisi dell’Occidente, è il ritardo di reazione dei suoi decision makers. È stata tardiva e straordinariamente limitata la consapevolezza da parte del sistema politico americano di quel che covava nella pancia del paese nel 2016. È stata tardiva e notoriamente svagata la valutazione della geografia sociale ed elettorale del Regno Unito in occasione dello sciagurato referendum di Cameron. E rischia di essere tardiva, oggi, l’intenzione franco-tedesca di salvare l’Europa da quella rivolta degli esclusi e dei «piccoli» che, pezzo dopo pezzo, la sta consumando. Anche in Italia, dopotutto, un buon cinquanta per cento dei buoi è già uscito dalle stalle
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