Morandi, il visionario dalle idee contestate

di Alessandro Castagnaro
Martedì 14 Agosto 2018, 23:16
3 Minuti di Lettura
Lungi dal voler entrare in merito con giudizi cause e responsabilità, vorrei soffermarmi sul ruolo che Riccardo Morandi idealista, visionario e sperimentatore strutturista ha avuto nell’ambito dell’ingegneria e dell’architettura contemporanea tanto da essere ritenuto tra i maggiori ingegneri italiani del ‘900 dalla notorietà internazionale, affiancando con la sua opera le ardite strutture di Pier Luigi Nervi. 
Romano di nascita, si laurea all’Università di Roma nel 1927. Si è sempre dedicato allo studio in maniera sperimentale e particolarmente ardita delle strutture in cemento armato, ereditando e sviluppando le prime innovazioni avvenute alla fine dell’800 prima dalle scuole francesi e poi da quelle italiane, ma andando ben oltre, passando dalla progettazione di edifici civili ed industriali a quella di ponti e grandi strutture, realizzando opere segnate da un ideale equilibrio tra funzionalità, rigore delle situazioni strutturali e spiccata qualità dell’immagine architettonica. Tra i primi sperimentatori del nuovo materiale costruttivo in Italia, il cemento armato appunto, non si è mai limitato a progettare secondo i canoni della cosiddetta normalità, ma ha sempre cercato di raggiungere il massimo livello di plasticità artistica da un’opera strutturale, con aspetti talvolta definiti visionari. Interviene ancora con la precompressione sul cemento armato al fine di ottenere sempre maggiori prestazioni dal materiale sino a brevettare un sistema denominato Morandi M5. Intanto con la sua opera ha affiancato i maggiori architetti del ‘900 con strutture paradigmatiche come il ponte sul Rio Guayasaguayaquil, in Equador e in Sud Africa, il ponte sulla laguna di Maracaibo. Ancora realizza tante altre opere italiane tra queste il ponte sul lago di Paola a Sabaudia, la passerella sul lago di Vagli a Lucca e progetta il padiglione sotterraneo per il salone dell’automobile di Torino e le ardite strutture dell’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma, ancora grandi ponti e viadotti autostradali, tra cui quello di Genova, alcuni tratti innovativi sulla Salerno Reggio Calabria, e sull’ansa del Tevere sul tratto Roma-Fiumicino. Interviene anche a Napoli progettando le rampe di collegamento fra le autostrade e il porto tra il 1973-78 con un maestro della scuola d’ingegneria Napoletana, Luigi Tocchetti, con Polese e De Martino e dove progetta la sua ultima opera prima della morte nel 1989 la originale ed audace copertura della chiesa di San Carlo Borromeo al Centro Direzionale di Napoli affiancando Pier Luigi Spadolini e Renato Sparacio, altro noto personaggio dell’ingegneria napoletana dalla indiscussa notorietà.
Indubbiamente tra le sue sperimentazioni, le sue ardite strutture hanno rappresentato delle opere che hanno segnato il paesaggio italiano ed estero, molto spesso apprezzate per l’inserimento dell’opera artefatta nella natura, diventando sua parte integrante; spesso criticate, per evidenziare maggiormente le peculiarità artistiche rispetto a quelle statiche, in particolare quando progetta i ponti cosiddetti a “bilanciere” che per il tempo apparivano innovativi ma poi rivelatisi strutture precarie, come nel caso della struttura venezuelana il viadotto di Maracaibo che ha subito gravi dissesti a seguito dell’impatto con una petroliera in transito, mietendo anche lì varie vittime. 
Una considerazione diventa d’obbligo, oggi che i tempi mutano con rapidità eccezionale, che le velocità fanno parte della nostra vita quotidiana, che il fattore sismicità è divenuto una costante continua in tutta Italia, che anche le condizioni meteo sono mutate rapidamente con eventi climatici di particolare intensità, il nostro patrimonio ingegneristico e architettonico pur di alto valore artistico, ha sempre più necessità di monitoraggi e interventi di manutenzione. Non possiamo più attendere altre tragedie che mietono vittime innocenti. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA