Ma il reddito non serve
a rilanciare il Mezzogiorno

di Gianfranco Viesti
Lunedì 15 Ottobre 2018, 23:02
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Una politica contro la povertà non può certamente essere un tabù, nell’Italia di oggi. Ma a patto che sia accompagnata da misure per lo sviluppo e per il lavoro; e che sia tecnicamente organizzata in modo tale da superare i molti problemi che essa, ovunque, comporta. Entrambe le condizioni, allo stato delle cose, sembrano mancare; e ciò desta una certa preoccupazione. Il cosiddetto «reddito di cittadinanza» è la principale misura prevista per la manovra economica di fine anno. Ha sulla carta una valenza redistributiva, dato che, a differenza degli «80 euro» del governo Renzi, ha come obiettivo le fasce più povere della popolazione. Teoricamente può tradursi in nuovi consumi. Ma certamente non dà una forte spinta all’economia. È accompagnata da misure che tendono a favorire altri gruppi di cittadini: in particolare gli occupati prossimi alla pensione con molti anni di anzianità (nuove regole pensionistiche) e le partite Iva (riduzione delle aliquote d’imposta). Questo mix non sembra proprio avere quella capacità espansiva dell’economia prevista dal Governo; i cui numeri sulla crescita, non a caso, non sono stati «validati» dall’autorevolissimo Ufficio Parlamentare di Bilancio.
Appare principalmente indirizzato a soddisfare le differenti promesse elettorali fatte dai due partner (anche in vista delle elezioni europee) a quelle che sono ritenute le proprie basi di consenso. 
Un assemblaggio di linee politiche non del tutto chiare, ma comunque assai diverse; senza una visione di futuro per l’Italia: concentrate sull’oggi. Ciò crea un sensibile pericolo: che in mancanza di una forte fase di crescita – di cui non appaiono purtroppo al momento esserci i presupposti – il «reddito» possa tradursi in un mero sussidio compensativo, senza che i suoi beneficiari possano concretamente sperare, più di prima, di trovare lavoro. 
Questo pericolo ha a che fare anche con la loro localizzazione. Sappiamo che il reddito di inclusione, varato con riluttanza e all’ultim’ora dal governo Gentiloni, va per il 70% nel Mezzogiorno, in linea con la distribuzione della povertà in Italia; e così dovrebbe essere per il «reddito di cittadinanza». Nessuno scandalo. La ripartizione territoriale delle politiche pubbliche è assai diversa: i benefici degli incentivi del piano Impresa 4.0 vanno per oltre il 90% al Centro-Nord, ed in particolare al Nord, laddove ci sono le imprese. I consumi dei meridionali attivano poi produzione in tutto il paese: quindi ne diffondono i benefici anche al Centro-Nord. 
Invece, proprio il fatto che molti destinatari risiedono nel Meridione mette in risalto l’assenza, nelle linee generali della manovra di governo, di significative politiche di sviluppo per il Sud: capaci di trasformarli, almeno in parte ma progressivamente, in lavoratori in grado di uscire dalle trappole della povertà, fornendo loro gli strumenti per farlo e senza scivolare nel solito assistenzialismo. E allo stesso tempo non si riescono proprio ad interpretare le recentissime dichiarazioni di Presidente e Vicepresidente del Consiglio, secondo i quali il reddito «sarà su base geografica» e beneficerà «per il 47% famiglie del Centro-Nord». Una baruffa geo-politica fra i partner di governo?
Queste ultime frasi sono piuttosto indicative del secondo grande problema cui si diceva in apertura: una certa confusione. Politiche contro la povertà non sono semplici da attuare; sono ricche di insidie. Ciò consiglierebbe in primo luogo un’attenta analisi di ciò che sinora è stato fatto. 
Ma, evidentemente, la comunicazione politica impone di fare diversamente: il «mio» reddito di cittadinanza deve essere diverso dal «tuo» reddito d’inclusione. Sembrano tornare le «carte di debito», con l’indicazione dei consumi ammissibili e, pare, con l’obbligo di spendere interamente l’importo mensile: un atteggiamento che – come recentemente sottolineato da Chiara Saraceno, una delle maggiori esperte europee del tema - appare paternalistico; e, nel divieto di risparmio, illogico. C’è il grande quesito su che cosa accade a chi dovesse trovare prime occasioni di lavoro. La compatibilità del «reddito» con i compensi. E soprattutto il grande timore che ciò possa ulteriormente stimolare aree di lavoro nero e sommerso, già enormemente diffuse in Italia, in particolare nel Mezzogiorno. E c’è la grandissima debolezza dei centri per l’impiego, specie nelle aree dove la disoccupazione è maggiore: e quindi della disponibilità e della verifica delle possibili offerte di lavoro.
Una politica contro la povertà non può essere un tabù. Ma bisogna studiarla e sperimentarla molto bene, perché non crei problemi maggiori di quelli che vuol affrontare; e certamente accompagnarla con una forte spinta alla creazione di nuove opportunità di lavoro. Destinare tante risorse al «reddito» non risolve nessuna delle due criticità. Ma fa tanta notizia.
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