Le follie del by-night e il ruolo dei gestori

di Piero Sorrentino
Martedì 19 Marzo 2024, 23:06 - Ultimo agg. 20 Marzo, 06:51
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Oggi, inizio ufficiale della primavera 2024, bisogna leggere quelle pagine sapendo che consentire un inizio della bella stagione a queste condizioni significa concimare il terreno di sei mesi da incubo in arrivo. C’è la vivibilità di una città da garantire, ma prima ancora c’è l’incolumità di giovani, soprattutto donne, da assicurare. Perché il nucleo urticante e irricevibile di questa faccenda non è dato dalle discussioni più o meno classiche che si presentano quando si discute del divertimento notturno in città, dal tema degli schiamazzi al traffico, dalla difficile convivenza tra residenti e avventori al decoro urbano. Qui siamo in uno scenario di legalità, ordine pubblico e tutela delle persone. Di violenza di genere. Della persistenza di uno stato d’eccezione dove vigono altre, se così si possono chiamare, regole.

E cosa fa uno Stato con le sue articolazioni locali quando si trova sottopelle una cisti così vistosa e preoccupante, se non intervenire con chiarezza e decisione? Ma non si può e non si deve invocare solo il controllo pubblico, come se fosse la soluzione a tutti i mali. Accanto a quello c’è un altro binario al quale bisogna chiedere più chiarezza e dal quale bisogna pretendere più decisione: i gestori dei locali. Non si può demandare esclusivamente al controllo di polizia che ragazze e ragazzi di questa città tornino a casa nello stesso modo in cui ne erano usciti prima di andare a ballare o trascorrere una serata in un locale. Perché da un lato è semplicemente impossibile chiedere alle forze dell’ordine di vigilare su ogni singolo spazio del divertimento notturno.

Ma soprattutto, dall’altro, è impossibile escludere il pensiero che i gestori dei locali – nella stragrande maggioranza dei casi persone oneste e perbene, inutile dirlo – non debbano essere, anzi sentirsi, chiamati in causa. Ogni attività commerciale sottosta a una serie di norme e regole. Ad alcune, più di altre, è richiesto un supplemento di moralità, intelligenza e buon senso che sebbene non sia scritto in nessun codice, ha un peso tanto quanto quello delle norme di legge. Nei manuali si chiama “responsabilità sociale di impresa”: sono anche i gestori e titolari di discoteche, bar e locali a doversi far carico del problema. Anzi soprattutto loro, perché promuovere un divertimento sano è questione che tocca principalmente loro.

Di solito l’obiezione, a questo punto, è: ma noi non siamo poliziotti. Nessuno chiede di esserlo. Basta operare, come si dice nei corsi di diritto, “con la diligenza del buon padre di famiglia”, guardando a quella platea di clienti non come massa informe su cui fare cassa, vendendo biglietti e servendo cocktail al bancone del bar, ma come persone molto giovani da proteggere. Senza vittimismi, lamentazioni assortite o scaricabarile per lavarsi la coscienza.