La battaglia di Tripoli, campanello d’allarme per l’Italia

di Gianandrea Gaiani
Lunedì 15 Gennaio 2018, 22:51
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​L’ennesima battaglia combattuta ieri all’aeroporto Mitiga di Tripoli tra milizie contrapposte conferma la fragilità del governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj, sostenuto da Roma e riconosciuto dalla comunità internazionale. Un esecutivo che controlla solo parte della Tripolitania, osteggiato dal generale Khalifa Haftar, che alterna proclami improntati al dialogo alla minaccia di conquistare la capitale libica con le armi, ma anche dalle milizie islamiste legate all’ex premier della Tripolitania e leader del fronte “Alba della Libia”, Khalfa Ghwell.
Gli scontri di ieri hanno visto protagoniste le milizie della Forza di Deterrenza Rada, di fatto una unità di polizia che dipende dal ministero degli Interni del governo di al-Sarraj, e la milizia islamista basata a Tajura nota come Brigata 33, guidata dal misuratino Bashir al-Bugra, vicina ai Fratelli Musulmani e a Ghwell. La battaglia, che ha provocato almeno 20 morti e una cinquantina di feriti, si è combattuta intorno all’aeroporto di Mitiga sulle cui piste sono rimasti danneggiati 4 velivoli di linea e si presta a diverse interpretazioni. Potrebbe trattarsi del tentativo delle forze fedeli a Ghwell di testare la reattività delle milizie governative per cercare di espugnare l’aeroporto e del resto scontri analoghi si erano registrati anche il 13 dicembre scorso e prima ancora in ottobre.
Un mese or sono le scaramucce erano cessate in seguito a un negoziato a conferma che, al di là degli schieramenti politici, gli scontri tra le milizie libiche sono spesso legati a interessi tribali o al controllo di aree o infrastrutture che consentono di incassare denaro, lecitamente o meno. Secondo il portavoce della Rada l’attacco della Brigata 33 mirava invece a raggiungere il carcere situato vicino all’aeroporto in cui sono detenuti anche molti esponenti della stessa milizia oltre a jihadisti dello Stato Islamico, qaedisti e criminali comuni. L’attacco è stato respinto, la Forza di Deterrenza Rada ha affermato di avere il totale controllo dello scalo aereo ma Il Consiglio di presidenza del governo di accordo nazionale lo ha chiuso dirottando tutti i voli su Misurata e ha proclamato in quell’area lo stato d’emergenza confermando così il pesante impatto mediatico che la battaglia ha avuto sulla credibilità dell’esecutivo guidato da al-Sarraj.
Un tema che impone a Roma riflessioni e valutazioni che probabilmente emergeranno in questi giorni nel dibattito parlamentare indetto con la riapertura delle Camere, già sciolte, per discutere delle nuove missioni militari in Africa varate dal governo dimissionario e votare il rifinanziamento delle missioni militari all’estero per i primi nove mesi del 2018. Il governo Gentiloni ha infatti messo a punto tre missioni in Niger, Libia e Tunisia (per un costo complessivo di circa 100 milioni di euro nel 2018), illustrate ieri dal ministro della Difesa Roberta Pinotti, che confermano come il focus degli interessi strategici italiani sia concentrato sempre di più su Mediterraneo, Nord Africa e Sahel.
In Libia i nostri militari saliranno da 270 a quasi 400 con 130 veicoli raggruppando la missione di assistenza sanitaria che vede l’ospedale da campo installato a Misurata con le operazioni di addestramento e consulenza alle milizie fedeli al governo di al-Sarraj. Missioni in parte già attivate dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi, che videro persino l’arrivo in Italia di reclute libiche da addestrare, ma poi sospese a causa del caos regnante nella nostra ex colonia. Attualmente un gruppo di tecnici della Marina a bordo della nave officina Capri assicura nel porto di Abu Sittah (sede istituzionale di al-Sarraj) la manutenzione delle motovedette che la Guardia costiera libica impiega per contrastare i traffici di immigrati illegali diretti in Italia.
Specialisti dell’Aeronautica hanno fornito nelle scorse settimane ricambi e consulenza ai colleghi libici per rimettere in condizioni di volo i cargo militari C-130H basati proprio a Mitiga. I militari sono rientrati in Italia il 9 gennaio e non sono quindi stati coinvolti negli scontri di ieri che hanno però indotto a mettere al sicuro all’ambasciata e ad Abu Sittah il personale militare di collegamento che opera presso il ministero della Difesa di Tripoli.
Prossimamente è previsto l’arrivo di decine di istruttori e consiglieri dell’Esercito che addestreranno le forze terrestri governative, probabilmente a Misurata o nella stessa base di Abu Sittah se a Tripoli non saranno garantite adeguate condizioni di sicurezza.
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