Intelligenza artificiale, il messaggio dell'Europa

di Mauro Calise
Domenica 17 Marzo 2024, 23:41 - Ultimo agg. 18 Marzo, 06:00
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L’altro è quello delle decisioni importanti, prese nei conciliaboli a Bruxelles dopo trattative estenuanti. Il risultato è che ci stiamo allontanando dall’Europa proprio quando più ne avremmo bisogno.

Oggi che si impongono scelte strategiche vitali, siamo a corto di fiato, e di quattrini. Per fare fronte alla competitività globale alimentata dallo scontro Usa-Cina, servirebbero risorse finanziarie messe in campo unitariamente, e a titolo solidale, come è successo col Piano straordinario per fronteggiare la pandemia. Ma per cifre di questa portata non c’è alcun accordo all’orizzonte tra i partiti. E ancor meno è sperabile trovarlo tra gli elettorati nazionali, che vengono tutt’al più mobilitati su temi caldi e poco costosi, come la guerra e l’immigrazione.

Per uscire da questa impasse che rischia di rendere l’Unione ancora più marginale sullo scacchiere internazionale, forse l’unica strada praticabile è abbassare l’asticella. Invece di continuare a porsi obiettivi troppo ambiziosi che i leader non sono in grado di realizzare e tanto meno di comunicare, sarebbe meglio concentrarsi su pochi ma decisivi accordi settoriali. Tornando in qualche modo alle radici del processo di costruzione europea, quando si riuscirono a creare i presupposti di un mercato comune grazie alle intese circoscritte ad alcuni dei comparti portanti dell’industrializzazione dell’epoca.

È la strada che indica ieri Lucrezia Reichlin sul Corriere, prendendo atto che «la retorica del debito comune come soluzione di tutti i problemi è, appunto, retorica» e indicando come banco di prova «la transizione climatica e le politiche sociali ad essa connesse, con le compensazioni indispensabili per chi ci perde». Una sfida che richiede un approccio flessibile e pragmatico, dove accanto ai fondi europei entrano in gioco i governi nazionali, e i capitali privati.

E dove può essere più semplice far percepire all’opinione pubblica la portata della posta in gioco, e l’urgenza di un cambio di passo.

L’innesto, infatti, dell’intelligenza artificiale sul tessuto industriale e finanziario ha molte ricadute che ancora si fa fatica a misurare, ma una conseguenza immediata riguarda la voragine che si è aperta nella contabilità energetica globale. Come documenta Federico Fubini nell’ultima sua Newsletter, le centrali che si stanno aprendo in ogni angolo del pianeta per alimentare il vertiginoso bisogno di elettricità di Chat Gpt e i suoi competitor hanno già fatto saltare gli obiettivi ecologici del 2030. E pongono in rotta di collisione il bisogno di innovazione digitale e quello di conservazione naturale.

In questa partita, l’Europa ha segnato un punto importante varando l’AI Act, la prima normativa che traccia paletti e regole per provare a contenere la colonizzazione artificiale di ogni ramo di attività sociale. È un passo importante, ma non basta. Grazie alla forza del suo mercato, l’Europa può sperare di riuscire a interloquire con i giganti industriali che controllano questo nuovo eldorado. Ma la nostra cronica debolezza in quest’ambito resta un handicap che, a lungo andare, rischia di metterci fuorigioco. Forse è tardi per sviluppare un campione di AI generativa da schierare contro cinesi e americani in questa sfida titanica. Ma non è tardi per lanciare il messaggio che su questo – almeno su questo – l’Europa ha l’obbligo di mostrarsi unita.

È un messaggio che anche gli adolescenti attaccati a TikTok capirebbero. Non si tratta più soltanto di mettere in sicurezza il futuro del pianeta. Se non corriamo ai ripari, tra poco salta la corrente. 

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