Il doppio forno dell'Italia tra Usa e Russia

di Gianandrea Gaiani
Martedì 13 Novembre 2018, 22:49
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Le valutazioni registrate a caldo sul summit internazionale di Palermo sembrano influenzate più dell’infuocato clima politico italiano e dell’avvicinarsi della «resa dei conti» nell’aspro confronto tra il governo giallo-verde e la Commissione Ue che da un’analisi obiettiva dei risultati conseguiti dal summit.
Giuseppe Conte ha mostrato una compiaciuta soddisfazione per un vertice nel quale «ha messo la faccia» e si è speso senza risparmio mentre le opposizioni parlano di fallimento e occasione mancata.
Al netto della dialettica politica nazionale occorre forse decidere se il bicchiere lo si vuole vedere mezzo vuoto o mezzo pieno. Nel primo caso è impossibile non notare che il summit si è concluso senza dichiarazioni scritte né documenti condivisi che stabiliscano “road map” per giungere alla stabilizzazione della nostra ex colonia.
La partecipazione internazionale c’è stata ma il livello delle delegazioni è scemato (tranne alcuni paesi) man mano che è apparso chiaro che non sarebbero emerse soluzioni definite. In questo senso poteva andare anche peggio tenuto conto che l’arrivo del generale Khalifa Haftar, il suo incontro con Conte e poi anche con il premier di Tripoli Fayez al-Sarraj hanno permesso di salvare in corner un vertice che in assenza dell’uomo forte della Cirenaica (che pure non ha partecipato ai colloqui a cui prendeva parte la sua delegazione) sarebbe apparso monco.
Se invece si osserva l’esito del summit con un approccio più ottimistico appare evidente che il governo italiano si è posto come garante e arbitro del dialogo tra le diverse fazioni libiche esprimendo una “leadership gentile”. Certo a favorire l’arrivo di Haftar sono state determinanti le pressioni di Mosca e del Cairo, alleati dell’esercito della Cirenaica guidato dal generale, ma questo significa che Egitto e Russia intendono sostenere la mediazione italiana ritenendola evidentemente l’unica, appaiata e supportata dalle Nazioni Unite, in grado di poter raggiungere l’obiettivo della stabilizzazione.
Un obiettivo fallito dalle grandi potenze e dalla comunità internazionale negli ultimi sette anni, dalla fine della sciagurata guerra che portò alla barbara uccisione di Muammar Gheddafi e alla caduta del suo regime.
Del resto il vertice del luglio 2017 nel castello dii Celle Saint Cloud, in cui Emmanuel Macron mise intorno a un tavolo Haftar e al-Sarraj, si concluse con l’annuncio di un cessate il fuoco e di elezioni nella primavera di quest’anno: aspettative che sono state ampiamente deluse anche se nessuno ha parlato di un fallimento francese.
Il summit di Palermo conferma invece che Italia e Francia sembrano determinate a lavorare finalmente insieme e non più in concorrenza: impressione che sarebbe auspicabile trovasse ulteriori conferme e si estendesse anche ad altri dossier caldi per entrambi gli Stati.
D’altra parte a Roma e Parigi viene riconosciuta oggi piena credibilità da parte di tutte le più importanti fazioni libiche, credito che certo non possono vantare Turchia e Qatar schierate apertamente con Tripoli e le fazioni libiche legate alla Fratellanza Musulmana, né Egitto ed Emirati Arabi Uniti, alleati di Haftar.
Come la Russia che ha un accordo di cooperazione militare con l’esercito della Cirenaica confermato dalla recente visita di Haftar a Mosca dove ha incontrato il ministro della Difesa Sergey Shoigu.
Con Gran Bretagna e Germania apparentemente disinteressati alla crisi libica e gli Stati Uniti propensi a lasciarne la gestione all’Italia, il summit di Palermo si è chiuso senza “miracoli” ma con la conferma del ruolo centrale di Roma, stretta alleata di Trump ma amica di Putin, sponsor di al-Sarraj ma non ostile ad Haftar.
A rendere il bicchiere mezzo pieno contribuisce poi la valutazione che le uniche delegazioni ad alto livello giunte a Villa Igiea sono state quelle egiziana e russa guidate dal presidente al-Sissi e dal premier Dimitri Medvedev. Un segnale importante delle alleanze che il governo italiano ha saputo consolidare pur in un contesto di grande intesa con Washington. Presto potrebbero emergere frutti importanti in Libia da un asse a tre in grado di offrire garanzie ad al-Sarraj come ad Haftar e soprattutto di spingere sullo sviluppo economico e la condivisione delle ricchezze libiche (petrolio e fondi rimasti all’estero), invece della loro suddivisione tra le due principali fazioni come accaduto finora.
Un piano di stabilizzazione che prenda il via dall’economia, annunciato dall’inviato dell’Onu Ghassam Salamè, potrebbe venire implementato da Italia, Egitto e Russia sul piano politico e della sicurezza anche se il crescente peso di Mosca in Cirenaica è osservato con attenzione dagli Stati Uniti, timorosi che l’intesa con Haftar consenta ai russi di disporre di basi militari nel Mediterraneo Centrale.
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