Il dolore, la giustizia, la memoria di Napoli

Gerardo Ausiellodi Gerardo Ausiello
Martedì 19 Marzo 2024, 23:06 - Ultimo agg. 20 Marzo, 12:55
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«C'è un corpo coperto da un lenzuolo in piazza Municipio». Era mattina presto, quel 31 agosto, quando la notizia dell'atroce omicidio di Giovanbattista Cutolo fece il giro della città e, in pochi istanti, del Paese. Dopo sette mesi, quel sentimento di angoscia e di paura resta scolpito nella mente e nel cuore. Perché deriva dalla certezza di un delitto avvenuto per nulla e che, proprio per questo, poteva capitare a chiunque. Se diventa pericoloso persino fermarsi a prendere un panino o una birra in un locale qualsiasi del centro perché si incontra la persona sbagliata al momento sbagliato allora per quel contesto urbano non c'è futuro. La banalità della morte.

Il brutale assassinio del giovane musicista, che aveva davanti a sé una vita di sogni e probabilmente di successi, un figlio della Napoli perbene, un 20enne con la maturità di un adulto, è stato per questa terra e per chi la abita uno spartiacque. Perché in quell'episodio le due anime della città, produttiva e parassitaria, luminosa e oscura, si sono tragicamente scontrate alle 5 del mattino nel minuscolo pub di piazza Municipio, e quella buona ha finito per soccombere.

Sono stati giorni bui perché si aveva la netta sensazione che per Napoli non ci fosse più alcuna speranza di redenzione e che la città fosse condannata a un destino di violenza e sopraffazione. Una convinzione alimentata anche dall’omicidio di un altro ragazzo, Francesco Pio Maimone, avvenuto pochi mesi prima (oggi si celebra il primo triste anniversario della sua scomparsa) in un bar di Mergellina per una scarpa sporca.

Ora quella speranza perduta viene in parte restituita da una sentenza, con cui i giudici hanno respinto l’offensiva richiesta di «messa alla prova» avanzata dagli avvocati del killer di Giogiò condannandolo a 20 anni di carcere.

Un verdetto esemplare perché punisce con fermezza l’assassino, ancorché minorenne quando decise di premere il grilletto, e perché pronunciato in tempi finalmente rapidi, accorciati anche dalla scelta del rito abbreviato.

Ma non può finire così, non può finire qui. Bisogna continuare a lavorare per rendere più efficaci le leggi in materia di delitti commessi da minorenni nella consapevolezza che i 14enni e 15enni che vivono nel tempo attuale sono profondamente diversi dai 14enni e 15enni dell’epoca in cui quelle norme furono pensate e scritte. E allora si riporti all’attenzione del legislatore l’abbassamento dell’età imputabile, di cui troppo si è discusso senza giungere ad un obiettivo concreto. Si coltivi altresì il valore della memoria, come si è fatto per Giogiò, con l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e delle altre principali istituzioni italiane, nelle settimane successive alla sua dolorosa fine grazie anche al coraggio e all’attivismo della madre del musicista, capace di gesti potenti e fortemente simbolici che hanno scosso molte coscienze. Si ricordi però allo stesso modo di Giovanbattista anche Francesco Pio, nato e cresciuto in periferia, che come Giogiò viveva con onestà e dignità e a cui è toccato lo stesso crudele destino.

Non chiamiamoci fuori dinanzi all’orrore senza senso e alle depredazioni della vita altrui. Contro il culto della forza e della distruzione, la società tutta deve fornire buone ragioni e strumenti validi per coltivare l’esistenza.

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