Difesa energetica
la sponda di Trump

di Romano Prodi
Sabato 14 Luglio 2018, 22:51
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Da quando Trump è diventato presidente tutte le riunioni internazionali a cui partecipa acquistano aspetti inediti e una suspense a cui non eravamo assolutamente abituati. Così anche il vertice della Nato, generalmente noioso e comprensibile solo agli addetti ai lavori, ha assunto un carattere di novità. Trump ha infatti esordito con un attacco violento e a tutto campo, diretto contro i Paesi europei. Non si è limitato a ribadire quanto aveva chiesto Obama nel 2014, ossia che i paesi europei aumentassero il proprio bilancio della difesa al 2% del Pil ma, a un certo punto, è passato a chiedere che le spese militari arrivino al 4% del loro Pil. 
Certo i Paesi europei, escluso Francia e Grecia, date le loro particolari strategie nazionali, sono ben lontani anche dal limite inferiore richiesto perché, con l’attuale frammentazione delle industrie militari europee e dei criteri di approvvigionamento dei diversi Paesi, l’aumento di spese per la difesa si concentrerebbe soprattutto in acquisti verso gli Stati Uniti. L’aspetto economico della politica della difesa e le commesse americane sono infatti la priorità dominante della strategia di Trump. Certo è opportuno che l’Europa provveda maggiormente alla sua difesa ma perché si possa produrre una risposta positiva a questa esigenza occorrerebbe che l’agenzia europea degli armamenti fosse in grado di trattare in modo paritario con le controparti americane. 
È parimenti urgente un ripensamento delle regole di decisione nell’ambito della Nato, la cui esistenza è ancora insostituibile ma rispetto alla quale noi europei non abbiamo certo sufficiente voce. Non ci si deve perciò stupire se i paesi europei, dopo avere messo in rilievo che nell’ultimo anno le loro spese per la difesa sono fortemente aumentate rispetto all’anno precedente, hanno sostanzialmente risposto picche alle richieste americane e non sembrano inclini ad aprire ulteriormente il loro portafoglio, come è chiaramente emerso anche dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio italiano. Desta naturalmente un certo stupore che, in una riunione di tale importanza, non sia stato messo all’ordine del giorno il caso della Turchia, secondo paese della Nato per consistenza dell’esercito. Eppure la Turchia poche settimane fa aveva programmato di acquistare i propri aerei da combattimento dagli Stati Uniti e i missili necessari per abbatterli dalla Russia, mentre la sua politica costituisce comunque un elemento di grande incertezza nell’ambito dell’intera alleanza.
Alla fine il comunicato ufficiale del summit di Bruxelles ha concluso con il ribadire l’ostilità nei confronti della Russia, formulare un progetto per un maggiore coordinamento delle forze armate, sviluppare gli strumenti della guerra cibernetica e (cosa che a noi interessa particolarmente) sottolineare con maggiore enfasi l’importanza del fronte sud. Non molto, ma più delle pessimistiche previsioni e comunque abbastanza perché Trump, dopo avere attaccato tutti e minacciato di ritirarsi dall’Alleanza Atlantica, potesse twittare esaltando la sua fiducia nell’importanza della Nato. 
È difficile però concludere semplicemente che è tutto bene quello che finisce bene perché anche il rapporto fra gli Stati Uniti e la Nato non può essere separato dalla generale espressione di volontà di Trump di ritirarsi da ogni scelta multilaterale, dall’accordo della Nafta con Messico e Canada, dal trattato di Parigi sul clima, dal trattato sul nucleare iraniano (Jcpoa), dall’Unesco, dalla Commissione Onu per i diritti umani, a cui si aggiunge persino la minaccia di staccarsi dal Wto. 
Forse, nel quadro dell’America First e data l’enorme spesa militare americana, anche la complessità della Nato può sembrare un impaccio per una politica che, data la disparità dei rapporti di forza, preferisce il rapporto bilaterale coi singoli paesi ad una relazione multilaterale, nella quale le decisioni assumono caratteri assai più complessi. Certo il rafforzamento e il riequilibrio della Nato presumono un’Europa più solidale, un’Europa capace di sostenere i suoi legittimi interessi nell’ambito di una più coesa alleanza Atlantica. Credo però che siamo ben lontani da quest’obiettivo, anche se esso appare sempre più essenziale per il nostro futuro. 
Mi sembra infine che valga la pena sottolineare un particolare. Nel corso del summit di Bruxelles Trump, sempre attento a difendere gli interessi economici americani, ha violentemente attaccato l’accordo tedesco-russo per il raddoppio del Gasdotto sottomarino che legherà in modo ancora più stretto Russia e Germania, saltando geograficamente l’Ucraina e saltando politicamente le sanzioni pur così fortemente volute dal governo tedesco. Ebbene, noi italiani, qualche anno fa avevamo espresso la volontà di fare del nostro Mezzogiorno il punto alternativo rispetto all’arrivo da Nord del gas in Europa. Invece di unirci, almeno in questo caso, alla politica di Trump e di tanti altri paesi europei nel contestare la scelta del gasdotto russo-tedesco, stiamo ponendo ogni tipo di ostacolo all’arrivo del gas nel Mezzogiorno. E questo proprio quando l’Eni può vantare gigantesche ed inaspettate scoperte di gas in vaste aree del mediterraneo sud-orientale. Non c’è nessuno che pensa quanto tutto ciò sia importante per il nostro futuro?
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