Rilanciare la democrazia con la forza degli Stati

di Biagio de Giovanni
Martedì 17 Aprile 2018, 22:58
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Il presidente francese Macron fa da tempo un uso strategico della parola. È diventato un caso raro, giacché la normalità di oggi vuole una comunicazione politica veloce, magari dura, twittata sui social, una comunicazione che colpisca solo l’immaginazione, disinteressata alla ricerca delle idee che anzi sembrano diventare un ostacolo alla comprensione del reale. Macron usa la parola perché ha compreso che sono finiti i tempi in cui la politica ha coinciso con l’amministrazione, che stiamo entrando nei tempi in cui la politica torna ad avere un rapporto drammatico con la verità e con la storia, e voglio dire con la necessità di penetrare nelle logiche profonde di un mondo preda di un caos che potrebbe anche preparare un duro risveglio. Ha avuto il coraggio di richiamare gli anni dieci del secolo scorso che prepararono la guerra mondiale. Finiti i tempi della normalità, tornano i tempi dell’eccezione e la parola, normalmente schiacciata in una palude di insignificanze, riconquista il suo significato: il linguaggio serve a costruire la coscienza dei problemi. 

Tempo fa Macron parlò alla Sorbona, poi ai protestanti francesi, pochi giorni fa ai cattolici di Francia con sorpresa dei laici vecchia maniera, oggi sull’Europa, al parlamento europeo. Discorsi, si potrebbe dire, di impianto classico, grandi passaggi, e il loro ritmo ideale che sfida i problemi dell’umanità e della storia. Gioia e sorpresa nel sentire un politico che parla così. Viene dalla Francia, e forse in questo momento non poteva che venire da lì.
Macron non addolcisce nulla della sua diagnosi sulla congiuntura che attraversa l’Europa, anzi affila i toni, guarda diritto al fondo oscuro di una crisi che sta rimettendo in discussione tutto ciò che appariva consolidato. Nel momento più teso del suo discorso egli parla di una guerra civile strisciante che attraversa il continente, e il suo sguardo si volge al cono d’ombra che sembra crescere dappertutto, riducendo vecchie certezze di vita, e l’assillo principale sembra la pressione che le grandi democrazie dispotiche e illiberali, le quali dominano una parte del mondo, stiano operando fin dentro i confini d’Europa, contribuendo a modificare la sua mente collettiva, la mente di quella Europa che si andava unificando. Egli ha il coraggio di dire che la democrazia rappresentativa in Europa sta correndo rischi mortali e che si è giunti al momento in cui si deve prendere coscienza dell’entità di questo problema. Elenca i grandi temi sul tappeto, da Brexit all’immigrazione, alla riforma della zona-Euro, e richiama la necessità di una sovranità europea.
In realtà noi siamo in una fase di disintegrazione politica della dimensione sovranazionale che ha appartenuto alle entità statali che formano l’Europa. Come si è giunti a questo punto? Ecco l’interrogativo pungente. E dunque non basta richiamare le grandi idee che hanno formato la coscienza della civiltà europea. Non basta rimettere in fila le sue conquiste di civiltà. No, questo è necessario, vitale per rimettere in campo la coscienza di una civiltà, ma non basta più. E porrei il problema così: o la sovranità europea, finalmente richiamata, riesce a trascinare nei suoi nuovi, e si potrebbe dire inediti, confini, la forza vitale delle democrazie politiche degli stati, oppure il cono d’ombra della crisi si avviterà su se stesso, facendo dell’Europa una realtà scissa, marginale, priva di influenza sui destini del mondo. Noi siamo giunti vicini a questo punto, ecco l’importanza cruciale del discorso di Macron. È anche una sfida agli altri leader europei e soprattutto a quelli che parlano la lingua interna alla crisi che ha una sua innegabile forza, ma anche, spesso, una sua rozzezza primordiale. La parola, che è già politica, deve tradursi in più intensa realtà, misurare se stessa con le tragiche contraddizioni del nostro tempo. Tempi difficili, ma anche affascinanti ci attendono. E’ nientemeno il pensiero che batte alle porte, sono le idee che tornano in campo. 
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