Compiti di Natale, si può stare insieme anche sui libri

di Alessandro Perissinotto
Lunedì 10 Dicembre 2018, 22:34
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La mia infanzia, come credo quella di molti miei coetanei a cavallo tra i 50 e i 60, è piena di racconti esemplari, in stile Libro Cuore, dove gli adulti indulgenti, sempre inclini alle concessioni verso i bambini, rovinavano i piccoli pargoli rendendoli inadatti alle durezze della vita.<

Mentre gli altri adulti, severi ma giusti, burberi ma benevoli, li educavano al senso del dovere e li forgiavano per un luminoso futuro. A sentire la proposta del ministro Bussetti, io non posso che pensare a quella prima categoria di adulti, a quelli che per farsi ben volere (non solo dai bambini, ma anche e soprattutto da quei bambini troppo cresciuti che hanno in mano la scheda elettorale) non esitano a offrire generosi regali, incuranti del loro potenziale diseducativo. Chiunque si sia trovato il 6 di gennaio ad aiutare il proprio figlio o la propria figlia a terminare i compiti per le vacanze ha pronunciato, più o meno mentalmente, la fatidica frase: «Ma basta con questi compiti a casa; i professori facciano il loro dovere a scuola e a casa ci lascino godere della compagnia dei nostri figli senza l’incubo dell’analisi logica, dei problemi di matematica con le vasche da bagno bucate e delle traduzioni da Ovidio». È lo stesso tipo di reazione che abbiamo di fronte al semaforo rosso: sappiamo che è un sistema di regolazione del vivere civile, ma quando siamo in coda, proprio non lo sopportiamo e, mentendo a noi stessi, diciamo che è inutile o che dura troppo o che si dovrebbe inventare qualcosa di meglio.

I compiti a casa non sono, come vorrebbero farci credere, la punizione sadica inflitta ai nostri figli da professori frustrati e incapaci, sono una parte del nostro sistema formativo. Persino all’università il principio dei “Crediti formativi” prevede che gli studenti svolgano una parte del lavoro in aula e una parte a casa. Riprendere a casa i temi che si sono affrontati in classe consente di riflettere, di apprendere con più calma, magari di sviluppare il senso critico. Consente, in talune discipline, di passare dalla teoria all’esercizio pratico. I compiti delle vacanze, anche di quelle brevi, danno continuità all’apprendimento. Naturalmente esiste un’evoluzione della didattica anche per ciò che concerne il lavoro da svolgere in autonomia; per esempio, è possibile invitare gli studenti a fare ricerche, a utilizzare in modo intelligente le sterminate risorse del web, di quello stesso web che a scuola non si può usare perché non ci sono i computer e perché usare gli smartphone è demoniaco. E, altrettanto naturalmente, non è necessario dare ai compiti a casa una dimensione punitiva: la cultura richiede sacrificio, non flagellazione. 
Certo, ci sono sistemi scolastici (ad esempio il citatissimo sistema finlandese) che prevedono un diverso rapporto con i compiti a casa, ma prevedono anche orari diversi e scuole diverse: non possiamo prendere dall’estero solo ciò che ci fa comodo e, soprattutto, non possiamo pensare che facendo un collage dissennato di tanti metodi educativi noi prepariamo i giovani alle sfide del futuro. È lecito mettere in discussione il metodo dei compiti, ma come conseguenza di un ripensamento totale della scuola e delle metodologie educative, altrimenti è come iniziare un viaggio in macchina e, invece di preoccuparsi di vedere se il motore funziona e se i freni sono a posto, domandarsi se c’è l’Arbre Magique appeso al retrovisore.

Infine, io credo che ci sia, nelle parole del ministro, o, almeno, una certa parzialità: il suo appello contro i compiti delle vacanze è motivato dal sacrosanto diritto delle famiglie di stare con i loro figli, come se la scuola dividesse le famiglie anziché unirle. Io sono sempre stato con i miei figli durante le vacanze, talvolta divertendomi con loro, talvolta facendo i compiti con loro, anche quando di quei compiti non capivo nulla. Sono stato con loro aiutandoli quando ho potuto e facendomi spiegare da loro ciò che stavano imparando e che io, con la scarsa formazione del mio istituto tecnico industriale, non avevo imparato. Signor ministro, le famiglie possono rimanere unite anche facendo i compiti, anche nel nome della cultura da condividere.
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