Villa del Comune in vendita
il sindaco la dà ai centri sociali

Villa del Comune in vendita il sindaco la dà ai centri sociali
di Paolo Barbuto
Sabato 17 Marzo 2018, 23:07
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Le immagini sono scure scure, riprese con il cellulare al chiuso: in primo piano il manifesto con la scritta «La città ribelle», sotto c’è la copertina dell’omonimo volume scritto dal sindaco di Napoli, tutt’intorno i simboli del partito fondato dal primo cittadino, «Dema» scritto in verde e rosso. Si tratta di un incontro per la presentazione del volume, risale a venti giorni fa. In quell’occasione Luigi De Magistris non si limita a promuovere la sua produzione libraria. 
A due passi dal luogo della presentazione c’è una struttura, l’ex convitto femminile San Paolo che la gente, da sempre, chiama «Le Monachelle». Cinquemila metri quadrati con discesa a mare che appartengono al Comune di Napoli e sono nell’elenco delle dismissioni, dei beni messi in vendita per fare cassa. Però un anno fa un gruppo di comitati s’è fatto largo fra rovi ed erbacce ed ha preso possesso di quel luogo abbandonato da decenni e non intende andare via. Allora Luigi De Magistris con voce stentorea spiega all’uditorio: «State tranquilli, per le Monachelle seguiremo lo stesso percorso seguito per altri quindici beni comuni della città di Napoli... la notizia per ora è ufficiosa ma sarà così. In questo caso forse il percorso sarà più complesso ma vi prometto che tornerò presto e quel giorno vi porterò la notizia ufficiale che le Monachelle non saranno più in vendita, le darò a voi...», standing ovation dell’uditorio, sorrisi di rito, entusiasmo. Il sindaco ha preso un impegno a nome di tutti i napoletani, ha promesso che quella struttura verrà ceduta ai comitati che l’hanno occupata, diventerà un altro «bene comune» della città di Napoli.
In quel preciso momento il sindaco De Magistris ha realizzato un’impresa quasi impossibile: un doppio autogol in contemporanea. Da un lato s’è attirato le critiche di chi contesta il progetto dei beni comuni, dall’altro ha alimentato le speranze dei comitati che, però, oggi vedono ancora quel luogo ufficialmente in vendita e sono sul piede di guerra.
La vicenda più recente dell’ex convitto femminile è costruita sul degrado e sull’abbandono. Nel 1980 la Regione assegna al Comune di Napoli il titolo di proprietà di quella meravigliosa struttura in riva al mare che proviene dallo scioglimento dei «Collegi Riuniti di Napoli». È in quel preciso momento che inizia il colpevole percorso di devastazione della struttura. Chiunque altro avrebbe cercato di mettere a frutto un «regalo» così clamoroso: cinquemila metri quadri coperti, mille metri di giardino circostante, percorso diretto alla spiaggia, a un tiro di schioppo dalla fermata «Arco Felice» della Cumana. Poteva essere trasformato in un luogo da sogno, a disposizione dei cittadini, magari gestito da terzi ma comunque messo a reddito in nome e per conto del Comune di Napoli. Invece diventa un luogo da incubo, prima vandalizzato, poi chiuso con mattoni per evitare la vandalizzazione, pian piano aggredito dalla vegetazione che ha iniziato a ricoprirlo, infine divenuto casa per disperati che hanno sfondato i muri di mattoni e sono andati a trovare rifugio lì dentro.
Gli abitanti di Arco Felice guardavano quella meraviglia in decadimento e si dannavano. Faceva paura, era frequentata da tossici, meglio tenersi alla larga. Nessun tentativo da parte del proprietario, il Comune di Napoli, di fare un po’ di manutenzione, di proteggere quel bene che sarebbe ufficialmente sotto tutela perché è considerato storico. Insomma, nel disinteresse generale, Palazzo San Giacomo per decenni ha mandato in malora una proprietà che aveva un valore inestimabile. 
Poi, poco meno di una anno fa, la svolta «dal basso», un gruppo di cittadini, riuniti in comitati, decide di andare a vedere cosa c’è dietro quella foresta di rovi che ha aggredito le «Monachelle». I cittadini si organizzano e lavorano per giorni prima di avere la meglio sulla vegetazione, alla fine riescono a raggiungere la villa. Ne scoprono il degrado umiliante, rilevano la presenza dei disperati che la abitano. Abbattono i muri che chiudono le entrate e provano a ripulire un po’ gli interni. Cercano di riportare la vita in quel luogo che non appartiene più a nessuno. Invece appartiene al Comune di Napoli che dopo decenni ne ricorda l’esistenza e lo infila nel programma di dismissione.
A questo punto cercheremo di proseguire il racconto in maniera laica, senza spostare l’ago della bilancia dalla parte dei sostenitori dei «beni comuni» né dalla parte di chi contesta il progetto. Proveremo a raccontare semplicemente quel che accade perché siate voi lettori a farvi un’opinione della vicenda.
Il tecnico incaricato della perizia per il programma della dismissione si presenta alle «Monachelle» e scrive una relazione drammatica: «Lo stato di conservazione delle unità immobiliari appare fatiscente, sia per quanto riguarda la complessità che nelle singole parti. Necessita di interventi di recupero totale delle facciate esterne e degli elementi decorativi che le caratterizzano, si presume lo stesso per gli spazi interni (dove l’esperto non è entrato per timore di crolli)». Sotto il profilo degli impianti, inoltre, l’esperto dichiara che «gli immobili non sono dotati di alcun tipo di impianto elettrico né idraulico, comprese le fecali e che non esiste alcun tipo di finitura». Nonostante queste drammatiche conclusioni, però, la perizia si conclude con una valutazione «importante», vendere quel rudere può portare nelle casse del Comune di Napoli più di due milioni di euro, nello specifico 2.224.103. Ed è con questa cifra che viene ufficialmente messo in vendita da Palazzo San Giacomo, con il suggerimento, per ingolosire gli eventuali compratori, di un possibile utilizzo delle monachelle: «La destinazione d’uso individuata come la più idonea per il complesso - scrive il perito - è quella di una struttura turistica ricettivo/alberghiera per convegni e meeting, con ampi spazi verdi di pertinenza che possono essere usati per gran parte dell’anno e con la possibilità di realizzare parcheggi interrati».
L’asta per accaparrarsi le «Monachelle» parte qualche giorno dopo l’annuncio fatto dal sindaco ai comitati: «Questo posto diventerà vostro». 
Come promesso, nessun commento...
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