Buttata via l’occasione
di semplificare i contratti

di Raffaele De Luca Tamajo
Mercoledì 8 Agosto 2018, 09:06
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Nel volgere di diciotto anni, a partire dal 2001 fino al 2018, il contratto a termine è stato oggetto nel nostro Paese di una affannosa e ripetuta modifica legislativa. Questa è stata caratterizzata da ben otto riforme, oscillanti - con andamento che possiamo definire pendolare - tra la progressiva liberalizzazione e i ritorni di fiamma agli originari vincoli causali e temporali che condizionano, significativamente, la praticabilità del contratto a termine. 
A questa seconda impostazione si ispira il cosiddetto «Decreto Dignità», che ieri è stato approvato, in via definitiva, dal Senato. Il dibattito mediatico e politico fin qui innescato in occasione del varo della legge si è avvalso delle tradizionali e contrapposte parole d’ordine che accompagnano, quasi sempre, le altalenanti riforme della legislazione del lavoro. Il governo in carica è convinto che rendere difficile l’accesso al contratto a termine mediante condizioni vincolistiche incentiva l’occupazione di qualità costituita dal contratto a tempo indeterminato, unica tipologia in grado di consentire al lavoratore una programmazione della vita personale e familiare. Per contro si osserva, in forte contestazione della legge appena approvata, che penalizzare il contratto a termine rischia di far venir meno una importante leva occupazionale quand’anche di natura temporanea. Ed ancora, che una occupazione limitata nel tempo è pur sempre preferibile ad una non occupazione, perché non è affatto detto che rendere difficile l’occupazione precaria produca più rapporti stabili e non valga, invece, a incrementare il lavoro nero.
In realtà sia l’una che l’altra posizione, nella loro semplificante radicalità, sembrano ignorare una variabile fondamentale idonea a decretare a chi spetti la ragione: cioè a dire l’andamento del mercato e la necessità, o meno, per le imprese di far ricorso a nuove assunzioni. 
In fasi positive dell’economia, quando il mercato «tira», il datore di lavoro che trova limitato o precluso l accesso al contratto a termine sarà effettivamente indotto a far ricorso ad assunzioni a tempo indeterminato. Viceversa, in periodi di crisi economica e di mercato incerto e pigro i vincoli al contratto a termine scoraggeranno ulteriori assunzioni o le relegheranno nell’ambito del lavoro irregolare. 
Come dire che la ricetta del governo giallo-verde è di quelle in grado di produrre effetti virtuosi in contingenze economiche diverse dalla presente.
Quanto al merito del provvedimento, esso consente la stipulazione di contratti a termine fino a dodici mesi senza necessità di alcuna giustificazione causale, mentre una durata superiore, ma mai eccedente i ventiquattro mesi, è possibile solo se giustificata per esigenze temporanee estranee alla ordinaria attività dell’impresa, per sostituire altri lavoratori o per punte non programmabili dell’attività ordinaria.
Il ritorno alle causali giustificative che erano state abolite negli anni 2014 e 2015 preoccupa molto le imprese in ragione dell’incertezza che viene a crearsi per effetto di una giurisprudenza ondivaga e dell’automatica trasformazione a tempo indeterminato di un contratto ritenuto dai giudici privo delle causali fissate dal legislatore. Nell’ottica di un contenimento dei contratti temporanei meglio, piuttosto, limiti percentuali che non sono esposti al rischio di incerte interpretazioni: la legge in esame prevede, infatti, che i contratti a termine non possono superare il 20% dei dipendenti a tempo indeterminato e, se sommati ai lavoratori somministrati, non possono eccedere il 30% dei dipendenti stabili dell’utilizzatore. 
Il Decreto Dignità si preoccupa, altresì, di innalzare le sanzioni pecuniarie per i licenziamenti illegittimi. La norma che si proponeva di abbattere il Jobs act in realtà lo scalfisce appena, anche perché - per quel che riguarda l’innalzamento del tetto massimo dell’indennità da 24 a 36 mensilità - essa è destinata a divenire operante solo tra più di una decina di anni. Una occasione persa per chi voleva riformare il Jobs Act, che allo stato prevede per i licenziamenti illegittimi un incredibile ginepraio sanzionatorio costituito da ben 12 diversi meccanismi punitivi. Il che, se disorienta l’esperto, disincentiva fortemente l’ipotetico investitore.
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