Moscato «rilegge» l'Antologia di Spoon River in napoletano

Moscato «rilegge» l'Antologia di Spoon River in napoletano
di Giuliana Covella
Domenica 18 Marzo 2018, 17:29
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Un'Antologia di Spoon River “riscritta” da Enzo Moscato (nella foto di Salvatore Pastore), il cimitero sulla collina che diventa Partenope, sterminato obitorio cittadino creatosi dopo l'ennesima eruzione del Vesuvio, danno vita a «Raccogliere & Bruciare (Ingresso a Spentaluce)», frammenti dall'opera di Edgar Lee Masters tradotti in napoletano e ricodificati dal drammaturgo partenopeo, in scena da mercoledì 21 marzo alle 21 (repliche fino a domenica 25) al Teatro Nuovo di Napoli. Presentato da Compagnia Teatrale Enzo Moscato/Casa del Contemporaneo, lo spettacolo vede in scena con Moscato, che è anche regista dell’originale drammaturgia, un ricchissimo cast composto da Giuseppe Affinito, Massimo Andrei, Benedetto Casillo, Salvatore Chiantone, Gino Curcione, Enza Di Blasio, Caterina Di Matteo, Cristina Donadio, Tina Femiano, Gino Grossi, Amelia Longobardi, Ivana Maione, Vincenza Modica, Rita Montes, Anita Mosca, Francesco Moscato, Luca Trezza, Imma Villa. L'allestimento è impreziosito dalle installazioni di Mimmo Paladino, le luci di Cesare Accetta, le musiche originali di scena di Enza Di Blasio, i costumi di Daniela Salernitano. «Portare sulla scena, dopo averla imbrattata qua e là di lingua e di suoni napoletani - spiega Moscato - l'incredibile Antologia di Spoon River, capolavoro di Edgar Lee Masters tale da aver già rappresentato oggetto di studio e adattamento di autori italiani come Cesare Pavese, Fernanda Pivano e Fabrizio De André è sempre stato un mio obiettivo. Ho scelto alcuni dei frammenti dell'opera originale, componendoli dopo un lavoro, non continuativo, durato parecchi anni».

Neapolis diventa così Spentaluce, cenere e lapilli dopo l’ultima eruzione del Vesuvio e Moscato tradisce, inventa, ma conserva, raccoglie e plasma, come un demiurgo ispirato, l'Antologia di Spoon River. Un'operazione audace e intensa, in cui la cultura partenopea diviene filtro per quella anglosassone nella tensione di un Novecento italiano ed europeo irrisolto che si proietta nella contemporaneità. Moscato trascina il numeroso gruppo di attori, li dirige come fossero musicisti verso una dimensione corale autentica, cui lo spettatore è, probabilmente, poco abituato. Li fa agire in un cimitero, tra l'onirico e il materico, che palpita e si ribella e ritorna come un'espiazione, in un teatro fatto di strati di conoscenza, libero e in continua evoluzione. La lingua è quella napoletana, piena e corrosiva, che diviene immediatamente un altro personaggio, in una coralità di voci “raccolte” e poi “bruciate” nel passaggio amato e devastante che è il teatro. 
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