«La musica non vive di tormentoni». Alvaro Soler sabato a Napoli presenta il nuovo album

Alvaro Soler sabato a Napoli
Alvaro Soler sabato a Napoli
di Andrea Spinelli
Lunedì 10 Settembre 2018, 09:27
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L'estate sta finendo (e un anno se ne va), ma non senza aver messo in memoria sulla sua playlist un tormentone di Alvaro Soler. Ad Ischia come a Taormina, «La cintura» l'abbiamo ballata un po' tutti e il ventisettenne cantante spagnolo residente a Berlino è tornato con il nuovo album «Mar de colores» accollandosi l'impegno tutt'altro che trascurabile di dare un seguito al successo del predecessore «Eterno agosto», rimasto in classifica qui da noi per 53 settimane di filato grazie a singoli come «El mismo sol», «Sofia» e «Libre» che gli sono valsi la bellezza di 14 dischi di platino.

Anche se con un po' meno eco, «La cintura» quanto a numeri non s'è mostrata inferiore ai predecessori incassando due dischi di platino, 133 milioni di stream su Spotify e 118 milioni di visualizzazioni su YouTube. Un bel successo per Alvaro, nell'attesa d'incontrare i fans napoletani il 15 settembre, sabato, alla Feltrinelli Express di Piazza Garibaldi, prima tappa di un minitour promozionale che il 16 lo porterà a Milano e il 17 a Roma, e di tornare in concerto in Italia il 9 maggio 2019 al Forum di Assago.
«Con questo disco volevo trasmettere la parte più felice del mio carattere, perché di tristezza e di problemi in giro ce n'è già abbastanza; soprattutto in questo momento», spiega lui.

I colori del titolo sono quelli di una tavolozza sentimentale di 12 canzoni, più una versione di «La cintura» con Flo Rida e Tini (l'argentina Martina Stoessel, eroina della serie tv «Violetta») con cui però il cantante iberico dipinge affreschi senza una tinta dominante. «Contiene, infatti, canzoni molto diverse tra loro, che rispondono tutte alla mia idea estetica» conferma lui: «Non c'è un colore ricorrente, ma piuttosto un mix di emozioni diverse. Mi piace che le tinte siano tante, perché anche in natura i colori primari sono tre, ma combinazioni e sfumature praticamente infinite. Nella mia produzione c'è stata un'evoluzione naturale: il primo album era un esperimento, con quello abbiamo messo le fondamenta di un'estetica, con questo costruiamo la casa».
 
Il disco va dalle biodiversità etno-culturali di «Puebla» («Volevo prendere una città come esempio per dire che ognuno ha un luogo dove si sente a casa. Quando una persona esce dal suo paese si porta dietro le tradizioni, sono parte del suo carattere, e condividerle è bello e gioioso») ai retaggi cinematografici della «Yo contigo tù conmigo» inserita nella colonna sonora di «Cattivissimo me 3».
Il resto spazia da «Histerico» ad «Ella» o «Bonita» e ha il sabor latino dei successoni firmati Soler: «A dispetto della frenesia di questo mio lavoro, mi piace pensare alla gioia e alla serenità che può regalarti la vita e, per contrasto, cerco di farne una filosofia».
L'unica canzone con un sorriso diverso contenuta nell'album è «Nino perdito», quella che Alvaro dice di avere più a cuore: «Quando da piccolo ho iniziato a suonare il piano, i genitori non hanno fatto altro che spronarmi a scriverci una canzone», ricorda. «Alla fine ci sono riuscito ed è stato bellissimo, testi e melodia sono nati nello stesso momento, e non mi succede spesso; un po' come quando indossi per la prima volta una giacca e scopri che ti sta a pennello».
Si tratta di uno dei rari momenti malinconici in un album altrimenti solare: «Il mio lavoro è tirare su il morale, abbiamo già tanti problemi nella vita!». Come le turbolenze politiche nella sua Catalogna: «Non mi esprimo sulla situazione, ma penso che sia un peccato se qualcuno vuole separarsi, il mio obiettivo è unire: ho visto i miei nonni, che vivono da sempre a Barcellona, spaventati all'idea di scendere per strada, e questo non va bene in una città sviluppata e moderna».
Ma l'uomo dei tormentoni (che, tuttavia, giura di non amarli) quali hit ha amato di più negli ultimi anni? «Probabilmente La tortura di Shakira e Alejandro Sanz», risponde lui: «È uscita al tempo in cui vivevo ancora in Giappone e ascoltarla nelle radio laggiù mi fece una strana impressione». Intanto, oggi nelle radio, forse anche in Giappone, ascoltano (anche) lui.
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