Napoli, la sfida all'hi-tech di Monetti: «Così inganniamo il tempo»

Napoli, la sfida all'hi-tech di Monetti: «Così inganniamo il tempo»
di Francesca Cicatelli
Giovedì 30 Novembre 2017, 12:53 - Ultimo agg. 1 Dicembre, 18:40
4 Minuti di Lettura

L'orologio è come un guinzaglio del tempo, lo tiene sotto controllo ma mai a bada. È il fascino di avere gli ingranaggi, la giostra dei minuti avvinghiata ai polsi per osservare quella puntualità che, secondo Jean Dutourd, è la gentilezza degli orologi. Lo sa bene la famiglia Monetti, che da più di un secolo colleziona tempo e lo ripara, assicurando che, pur lavorandoci tutti i giorni, è possibile ingannarlo «non pensandoci e rinviando all'orologio la percezione dell'avanzare». Ché poi quando si fissa un orologio diventa interminabile persino un minuto, quasi come se si fermasse tutto.

Nel laboratorio-store di via dei Mille a Napoli, inaugurato nel 1968, è appena approdata la nuova collezione Maurice Lacroix che ha lanciato la campagna «Your time is now», rivisitando il senso del tempo come sentire soggettivo e di cui appropriarsi attraverso il viaggio: il battage, infatti, riprende gli skyliners di location internazionali come New York City e presto anche l'orizzonte di Napoli.
 

 

Ne è trascorso di tempo da quando, nel 1904, Guglielmo Monetti senior, appassionato intenditore di orologi, aprì il primo punto vendita in via Santa Brigida, dove sono conservati ancora prestigiosi orologi a pendolo e sveglie d’epoca. Oggi la famiglia Monetti cura i marchi più prestigiosi come Rolex, Vacheron Constantin, Piaget, Cartier, Jaeger-LeCoultre, Iwc, Baume et Mercier, Chanel, Maurice Lacroix. La sede di via dei Mille ospita un moderno laboratorio con tecnici specializzati che non dimenticano la sapienza del passato, perché questo oggetto del desiderio, avrebbe detto Sciascia, se va male non segna mai l’ora esatta, ma se fermo la segna due volte al giorno.

Gabriella Monetti, terza generazione di famiglia, ricorda ancora al marito Claudio Argenziano quando, a cinque anni, osservava il nonno nel negozio storico e già era affascinata dalla ruota dei minuti che ora indossa «come fosse un comodo pigiama e che è meglio di un anello di fidanzamento». Non le permettevano di toccare nulla, solo di guardare, aprire la porta e spolverare: ma proprio da quei gesti ha «appreso i segreti del mestiere», perché anche se l'orologio continua ad essere un oggetto maschile, lei, come un uomo, «preferisce gli automatici a quelli con movimento al quarzo», gli orologi a cui filosoficamente occorre dare la carica, sebbene le donne siano più appassionate al design che alla meccanica.
 

Nella lotta per il mercato del tempo gli orologi hanno battuto le clessidre. Ma chi batterà gli orologi? A quanto pare sono minacciati dai cellulari, sono loro che portano a non rivolgere più lo sguardo ai polsi ma a chinare la testa sui display per sapere se si è in ritardo. Gli smartwatch poi hanno compiuto uno storico sorpasso, superando per volume il mercato di quelli classici. In particolare, nel 2014 le spedizioni di orologi smart nel mondo hanno toccato gli 8,1 milioni di pezzi con una crescita del 316% annuo mentre quelli tradizionali si sono fermati a quota 7,9 milioni di pezzi. Nell’era dei wearables, i device indossabili, il futuro però non è necessariamente digitale: accanto a persone costantemente connesse, ce ne sono altre che si allontanano dall'iperteconologia e che vedono come una condanna protesi ipertech che estendono le proprie capacità sensoriali.

Nell'ipotesi peggiore il valore degli orologi tradizionali non tramonterà comunque, perché la loro eventuale estinzione li rende rari al punto da alimentare un altro prestigioso mercato, quello legato al collezionismo con battute all'asta già ora milionarie.
Un business, quello degli orologi, che muove anche un giro d'affari turistico: sono decine i tour organizzati nei laboratori svizzeri per apprendere i segreti nascosti nei quadranti, ormai capolavori di microingegneria. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA