I ricordi di Gino Rivieccio:
«Quando dissi a papà
che volevo far ridere»

I ricordi di Gino Rivieccio: «Quando dissi a papà che volevo far ridere»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 13 Ottobre 2018, 12:45 - Ultimo agg. 20 Ottobre, 12:21
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Da piccolo voleva fare il giornalista, anche se il senso dell'umorismo e la battuta pronta non gli mancavano già allora. Aveva poco più di dieci anni quando, tra le pagine di quel giornalino che scriveva tutto da solo e poi vendeva al prezzo di cinquanta lire, uno spazio per far sorridere i lettori lo trovava sempre. Eccolo qui Gino Rivieccio, attore e comico napoletano - capace di camaleontiche trasformazioni in personaggi famosi, in grado di creare e ricreare caricature perfette nella voce, negli atteggiamenti e persino nei tic. Storico imitatore, ad esempio, di Antonio Bassolino, che ancora se la ride quando si rivede in tv preso in giro da lui, ma anche di Rosa Russo Iervolino o del tecnico Maurizio Sarri - per la gioia di calciatori e tifosi.

Giornalista o comico?
«Giornalista, di fare l'attore mi è venuto in mente dopo. E ne ero talmente convinto, che mi scrivevo un giornaletto tutto da solo. Si chiamava l'Informatutto, era pieno di notizie e curiosità, ci mettevo dentro pure quello che succedeva nel palazzo, dove tra l'altro viveva gran parte dei miei lettori».

L'Informatutto, dunque.
«Avevo anche la pubblicità. Staccavo le etichette dalle bottiglie di Ferrarelle bagnate e le azzeccavo sul giornale, per fare vedere che tenevo lo sponsor».

Cinquanta lire a copia, ma gliele davano sul serio?
«Nientedimeno. Avevo pure gli abbonati, quelli che pagavano dieci numeri tutti insieme. Un pomeriggio bussarono al campanello, mio padre andò a aprire la porta e era un ragazzo che chiedeva l'Informatutto, papà pensò che era un amico mio che lo voleva sfottere e invece quello veramente era venuto per comprare il giornale. Fu così che a Natale i miei genitori mi regalarono una fantastica Lettera 32 dell'Olivetti, sempre più convinti del mestiere che avrei scelto».

Poi invece ha fatto il comico. Cosa le fece cambiare idea?
«Incroci della vita. Ogni tanto ci penso. Se non fossi capitato nella stessa classe con tre compagni un po' artisti come me, forse il mio destino sarebbe stato diverso».

Quali erano questi compagni?
«Paolo Molinaro, Peppe Licchiello e Mimmo La Rana. Per la verità c'era anche una ragazza, Emilia Marone, bravissima: tutti studenti al Sannazaro. Creammo un gruppo comico, cominciammo con le imitazioni dei professori e finimmo nei locali, dove organizzavamo veri e propri show di cabaret».

E la scuola?
«Ci esibivamo nel fine settimana. Però il pomeriggio, invece di tradurre le versioni di greco, scrivevamo i testi per la sera. Di solito, andavamo in scena al Jolly Club in via Aniello Falcone, dove guadagnavamo seimila lire ciascuno. Poi, ci spostammo al Fragile e al Pentothal, due locali del Vomero. Comunque con le imitazioni andavamo fortissimo».

Anche con quelle dei professori?
«Il mio cavallo di battaglia era l'insegnante di storia dell'arte: si chiamava Lucio Festa. Facevo molto bene anche padre Branno, prof di religione, che attualmente è parroco nella chiesa dell'Ascensione. Ogni volta che mi vedeva, mi dava certi paccheri che ancora me li ricordo».

Intanto, il giornalismo si allontanava.
«Sempre di più. Il giornalino ormai era tramontato, e nel frattempo cresceva la mia passione per il cinema». 

Ci andava spesso?
«Meno di quanto avrei voluto: soldi ne avevo pochi e non sempre potevo permettermi il biglietto. Un sistema per risparmiare, però, lo avevo trovato».

Quale?
«Andavo sempre all'America Hall, dove alla maschera dicevo che avevo bisogno di entrare un attimo per cercare un amico, e invece prendevo posto e non uscivo più. Una volta, alla fine del film, me la ritrovai di faccia, la maschera. Mi disse Che è stato? L'amico vostro non lo avete trovato?. No, niente - risposi -, adesso lo vado a cercare al Delle Palme. E allora è meglio che jate 'o Fiorentini - ribatté -, perché al Delle Palme fanno 'o stesso film che avete visto qua».

Cinema gratis a costo di essere sbattuto fuori.
«Non solo imbrogli, però. Papà era poliziotto, in quegli anni capitava spesso che agli agenti dessero i biglietti gratis. Quando toccava a lui, li passava a me e ai miei amici. In ogni caso, ero sempre più convinto che avrei fatto l'attore, a prescindere dai film che andavo a vedere a sbafo».

C'è stato un momento in cui ha deciso che non avrebbe più cambiato idea sul lavoro che avrebbe fatto?
«Fui chiamato dal Credito Italiano per un colloquio, perché nel frattempo ero anche riuscito a laurearmi in giurisprudenza». 

Volevano assumerla?
«Sì. E senza alcuna raccomandazione - roba da non credere, eh? Appena arrivai nell'ufficio del personale, mi fecero compilare un modulo dove scrissi senza alcun problema che di mestiere facevo l'attore. Si presentò il direttore e mi disse Dottor Rivieccio, lei quale lavoro intende fare?. L'ho scritto: l'attore risposi. Ma allora qua che cosa è venuto a fare? Pe' fa' contenti a mamma e papà, ma mò me ne vado subito, non vi preoccupate.

Quindi rifiutò il posto in banca?
«La cosa più complicata fu dirlo a casa». 

Come se la cavò?
«Non mi hanno preso, dissi. Era l'unica balla credibile. Papà, nun ce penza', 'e soliti 'mbruogli. Figurati se assumevano a me. Meglio se faccio l'attore. Nel frattempo, mi ero scritto anche un copione tutto da solo e ero pronto al debutto. Lo chiamai Dal tronco al nobile parodia di una vecchia pubblicità di Tortoriello: Dal tronco al mobile».
A quel punto, aveva avuto pure l'autorizzazione della famiglia, era pronto a partire. 
«Fu un sollievo, perché all'inizio erano tutti contrari. Poi entrai a far parte della compagnia stabile del Teatro Sannazaro, a fianco di Nino Taranto, Luisa Conte e Pietro De Vico; e da quel momento anche a casa iniziarono a considerami un attore a tutti gli effetti. Come ho detto nel libro che ho scritto in occasione dei miei 30 anni di carriera, ho sempre pensato che Dio si serve di ciascuno di noi per realizzare un disegno».

Nel suo caso, quello di far ridere le persone?
«Esatto. Il padreterno è grande, sapeva che non ero tagliato per fare l'avvocato, il magistrato o il notaio. Quelli che hanno delle cose da dire e non le esprimono è come se lo tradissero. Io no. Io ho sentito la sua chiamata: ho preso la laurea, ma l'ho appesa al muro e ogni tanto me la guardo». 
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