I ricordi di Nino D'Angelo:
«Quella fuitina
che mi cambiò la vita»

I ricordi di Nino D'Angelo: «Quella fuitina che mi cambiò la vita»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 12 Gennaio 2019, 11:02 - Ultimo agg. 20:38
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Papà faceva il calzolaio a San Pietro a Patierno - 'o quartiere r' 'e scarpari - e lavorava fino a tarda sera, per cercare di mettere insieme il necessario a mandare avanti la famiglia: sei figli e una moglie talmente abile nella gestione dell'economia domestica da riuscire a andare incontro alle esigenze di tutti anche con quattro soldi. Soldi che però non bastavano comunque, ragion per cui ognuno doveva darsi da fare per cercare di arrotondare il bilancio familiare. Gaetano D'Angelo, detto Nino, gracile e bassino, il caschetto biondo per eccellenza, finì a vendere gelati alla stazione centrale, mentre in cuor suo coltivava la passione di diventare cantante.
 
 

Già allora?
«Il mio grande amore fin da bambino. Gli altri giocavano con i soldatini; anzi, con le pistole, perché costavano 'e meno. Io invece ascoltavo Mario Merola e Sergio Bruni. E il nonno mi faceva cantare le canzoni di Giacomo Rondinella seduto sulle sue gambe».

Una passione innata, insomma.
«Ero certo che quella sarebbe stata la mia strada, ma eravamo talmente poveri che mamma e papà non potevano certo permettersi di pagarmi le lezioni di musica».

Ha fatto tutto da solo?
«Praticamente sì. I miei insegnanti sono stati i ragazzi che frequentavano un'associazione cattolica di Casoria e che, come me, amavano le canzoni napoletane».

Viveva a Casoria?
«Sono nato a San Pietro a Patierno, dove abbiamo vissuto parecchi anni, poi però ci trasferimmo a Casoria dove conobbi un sacerdote illuminato. Padre Mauro Piscopo, una persona straordinaria, che capì le mie potenzialità e provò a darmi una mano, coinvolgendomi in tutto quello che di musicale organizzava la sua associazione».

Nel frattempo però lei vendeva gelati alla stazione.
«Papà cominciò a stare male, avevamo bisogno di soldi».

E la scuola?
«L'ho frequentata per qualche anno, poi ho lasciato perdere: parlavo solo in napoletano, studiavo poco e mia madre non andava mai dai professori. L'esame di terza media l'ho superato cantando la Marsigliese».

Niente interrogazione?
«Gli insegnanti avevano capito che ai libri preferivo la musica e assecondavano la mia passione. In occasione del precetto pasquale si organizzava sempre uno spettacolo, per il quale ogni classe preparava un'esibizione: la nostra vinse, quando recitai Marzo. Ve la ricordate? 'Nu poco chiove e 'n'atu ppoco stracqua, torna a chiòvere, schiove, ride 'o sole cu ll'acqua» la poesia di Salvatore Di Giacomo. Andò alla grande. I professori mi volevano assai bene, fu un enorme dispiacere per loro quando seppero che sarei andato a vendere i gelati».

Dai gelati al caschetto biondo platino.
«Mi dicevano che sapevo cantare, ma fisicamente non ero proprio una grande bellezza. Ero gracile e bassino. E allora, quando venne il momento di scegliere un look, un particolare che mi facesse distinguere dagli altri, insieme con il mio parrucchiere decidemmo che avrei portato il caschetto biondo».

Che le ha portato anche fortuna.
«Direi proprio di sì. È stato un crescendo. Dalle sceneggiate accanto a Mario Merola al grande successo degli anni '80 canzoni come 'Nu jeans e 'na maglietta, Maledetto treno, Sotto 'e stelle, Pop corn e patatine, Quel ragazzo della curva B Brani che varcarono velocemente i confini della Campania, consentendomi di diventare protagonista di numerosi film musicali, che incassavano bene e facevano vendere una quantità di dischi. Poi, arrivò pure l'invito al Festival di Sanremo del 1986, con la canzone Vai».

Indimenticabili anni Ottanta. 
«I più belli della mia vita. Non solo il successo professionale, ma anche la nascita dei miei figli. Mi sono sposato nel '79 e ancora oggi sto con la stessa donna, siamo cresciuti insieme».

Nozze record nel mondo dello spettacolo.
«Mi sa di sì. Amo la mia famiglia, anche se devo ammettere che non è stato sempre facile andare avanti. Ma dopo tanti anni, se davvero c'è l'amore, impari a sopportare meglio anche quello che non ti piace. Oggi, invece, vedo che i giovani si arrendono subito e si separano troppo facilmente».

Quanti anni aveva quando si è sposato?
«Circa venti, lei quattordici».

Giovanissimi.
«La conobbi che era una bambina, grazie all'uomo che sarebbe diventato mio suocero: Vincenzo Gallo. Lo chiamavo maestro, scriveva canzoni e era molto vicino a noi giovani artisti in cerca di qualcuno che ci facesse conoscere al pubblico».

E lei si fidanzò con la figlia.
«Mi innamorai subito di lei. Cominciammo a uscire insieme, facemmo la classica fuitina e una sera scoprimmo che aspettava un bambino. Così, decidemmo di sposarci».

 

Suo suocero come la prese?
«Malissimo. Si sentì tradito. Però poi acconsentì alle nozze. Ricordo che a Napoli non ci vollero sposare, Annamaria era troppo piccola, ma alla fine riuscii a trovare un parroco di un paese di periferia che invece accettò. Ero così povero, che gli addobbi della chiesa erano quelli di una coppia che si era sposata qualche ora prima».

Nessuno vi aiutò?
«Mia nonna ci regalò il viaggio di nozze: tre giorni a Roma. Il ricevimento invece lo pagai con le mance raccolte durante i miei concerti proprio ai matrimoni. Quando ci sposammo, Annamaria era già al sesto mese di gravidanza».

Poi il lavoro ingranò e D'Angelo diventò una star.
«Quando arrivò Antonio, il nostro primo figlio, riuscivo a mantenerlo senza problemi».

Papà ragazzino.
«Un prezzo che ho pagato abbastanza caro. Temo di non essere stato un padre modello, soprattutto con lui: ero ancora troppo giovane e assolutamente inesperto. È andata meglio con Vincenzo, che nacque quattro anni dopo, nel 1983. Mia moglie ed io eravamo già più maturi».

E la sua grande famiglia? Come reagì al successo?
«Una gioia per tutti. Più le cose andavano bene, più arrivavano i guadagni. Diventai ricco tra i poveri e un po' alla volta ho dato una mano a tutti. Non avrei mai potuto dimenticare, e infatti non ho mai dimenticato, i soldi che avevano raccolto per consentirmi di registrare il mio primo disco».
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